giovedì 15 novembre 2012

Quattromilasettecentoquarantasei vasi greci e una prospettiva

Nei primi post di passatoefuturo non sembra esserci molto spazio per speranza e fiducia. Sarà che risulta davvero difficile immaginare spazi di crescita per i beni culturali in Italia, e nonostante qualche segnale importante, la sonnolenza sembra ancora dominare questo scenario. Sarà anche che in generale non è un momento piacevole e ricco di aspettative, soprattutto se visto da Sud. Insomma si naviga a vista in piena tempesta.


Prendo un po' di spazio quindi per descrivere un progetto che mi ha assorbito quasi totalmente nell'ultimo anno.
Non per mettere in mostra le mie attività, ma solo perché penso che possa essere un esempio intorno a cui ragionare perché è stato portato avanti pensando ad una modalità nuova di condurre progetti di comunicazione per l'archeologia, in cui possano trovare il loro spazio specialisti con competenze e ruoli diversi. 
Il Laboratorio di Archeologia Digitale ha partecipato all'allestimento multimediale della nuova sistemazione della collezione archeologica della Fondazione Sicilia a Palermo, presso il rinnovato palazzo Branciforte. In poche parole si trattava di realizzare un sistema multimediale di fruizione di contenuti e di supporto alla visita della collezione, che fosse erogato su grandi schermi touch.
E la collezione da valorizzare era un insieme di quasi 5000 oggetti, perlopiù ceramica greca, tutti disposti a vista in una unica lunghissima vetrina avvolgente, secondo la geniale intuizione di Gae Aulenti (Palazzo Branciforte è stato l'ultimo progetto del grande architetto, scomparso nei giorni scorsi: questo post vuole essere anche un piccolo omaggio al suo genio e alla sua grande personalità).

Dunque 5000 vasi greci.

Quasi tutti senza contesto. 
Quasi tutti senza indicazione di provenienza.

...


Ora, non me ne vogliano gli appassionati di ceramica greca, è già difficile rendere interessante questa materia (ai non addetti ai lavori), figuriamoci valorizzare un insieme di oggetti privi di particolare valore artistico.
Il sistema che abbiamo realizzato cerca di guidare i visitatori a scoprire tutte le storie che si nascondono dietro la teoria di questi oggetti muti e decisamente poco attraenti, e li accompagna in un viaggio a ritroso attraverso un fitto reticolo di episodi (23 in totale) e di mappe sfogliabili. 
Gli episodi parlano dei vasi come oggetti (la forma del vaso; vasi per ogni occasione; dall'argilla al vaso) oppure dell'incontro fra culture (l'avventura dei coloni, i Fenici in Sicilia), della vita quotidiana (vivere alla greca) dell'iconografia (al banchetto degli dei).

Lo stile non è paludato o serioso, ma molto semplice. Sia dei contenuti testuali che della grafica e delle illustrazioni.

I testi sono brevi, scritti in un linguaggio comprensibile, e distinti fra curiosità, fumetti, approfondimenti.
Lo stile dei disegni è studiato per sfruttare i vantaggi del digitale, ma sembra fatto a mano.
I filmati ricostruttivi sono rigorosamente bidimensionali (cosa c'è di più bidimensionale della pittura vascolare greca e del suo stile?).

E' la soluzione che abbiamo immaginato per evitare freddezza e distanza fra visitatori e schermo. Così come abbiamo reso la fruizione semplice. Solo tocchi e swipe. Come se gli schermi da 46" fossero dei grandi tablet.


Al di là del prodotto realizzato, il risultato più importante che penso di aver ottenuto è stata la definitiva certezza che la creatività nella comunicazione dell'archeologia non può essere demandata ad altri, ma aspetta solo le competenze degli archeologi. Che sono i soli a potersi districare in una mole di conoscenze settoriali apparentemente prive di fascino per i non addetti ai lavori ed evitare di indulgere alla ricerca del dettaglio erudito o della sensazionalità a tutti i costi.


Il motore del progetto è stato infatti un team di creativi e archeologi appassionati e specializzati nella comunicazione, responsabile delle scelte coraggiose effettuate. 
Persone che hanno raccolto la sfida di ragionare a partire dai contenuti, non dalle tecnologie. Di avvicinare queste ultime al dominio (l'archeologia), e di evitare che diventassero freddi testimoni di una artificiosa spettacolarizzazione.


Dando carta bianca non solo alle competenze scientifiche, ma anche alle capacità creative  di un team di creativi digitali, composto da artisti e da archeologi, è stato possibile:
"tradurre" il lessico di dominio, senza mai banalizzare;
valorizzare gli aneddoti, le curiosità, le mille sfumature della conoscenza nascoste fra i dati e le analisi specialistiche, senza proporla come mistero o erudizione;
disegnare gli storyboard delle mappe, mediando fra le istanze dell'attendibilità e una necessaria dose di fantasia;
concepire giochi educativi e divertenti;
sviluppare delle ricostruzioni e delle animazioni dei vasi che fossero allo stesso tempo affascinanti e rispettose della componente storica;
inventare uno stile creativo, fantasioso e a tratti farneticante, ma sempre collegato ad una base di conoscenza ineccepibile!

Molti degli specialisti che hanno lavorato al progetto sono infatti giovani laureati e specializzati in archeologia. Che hanno messo in gioco la loro bravura e la loro fantasia. Vere "cicale" ben consapevoli delle proprie potenzialità, capaci di dialogare con i tecnici, di lavorare alla pari con i creativi e di mettere in gioco anche la loro creatività e la loro immaginazione.


Il punto dolente è che questo tipo di figure purtroppo non sono ritenute strategiche, né dal mondo della formazione né da quello dell'impresa.

Il primo distratto dagli iperspecialismi;
Il secondo attratto dalla spettacolarizzazione;

Non esiste infatti nella formazione universitaria sui beni culturali la possibilità di specializzarsi sui linguaggi e sulle tecniche di comunicazione, ma piuttosto strani corsi di applicazioni informatiche (perdonatemi, sono colpevole anche io!) che dovrebbero, da soli, dispersi in una formazione orientata a tutt'altro, colmare la enorme lacuna esistente fra ricerca e divulgazione. O strani corsi di specializzazione in archeologia virtuale (questo argomento meriterà a breve un post a parte ...).
Sottolineo invece la necessità di ragionare in termini di linguaggi, prima che di tecniche, perché gli archeologi non è detto che debbano per forza cimentarsi con gli strumenti di produzione di contenuti digitali, ma devono però sapere che cosa è in grado di fare una tecnologia, a quali costi, e sappiano interloquire con altri professionisti.

Insomma servirebbe una formazione in grado di dare concretezza produttiva alla capacità di immaginare dell'archeologo. 

Formazione, ricerca, giovani talenti: il ruolo delle Università potrebbe essere strategico, se non fosse che il contesto nazionale, fra Stati Generali e Politiche Industriali, appare invece incredibilmente attratto altrove.

- - -
PS: 
Per i dettagli scientifici del progetto rimando direttamente alle pubblicazioni. Sul mio profilo academia.edu una descrizione del lavoro svolto; un ulteriore paper più orientato agli aspetti tecnici dovrebbe uscire entro l'anno su archeologia e calcolatori, mentre una sintesi con belle immagini è sul numero di Archeologia Viva di Novembre-Dicembre 2012; si può vedere anche il poster presentato al I Congresso Nazionale di Archeologia Pubblica a Firenze (link al pdf di tutti i poster, lo trovate a p. 38), in cui, pur molto succintamente, si descrive questo lavoro. 

PPS:

Purtroppo non ho avuto la possibilità di presentare il sistema a Paestum quest'anno. Se siete incuriositi a tal punto da essere arrivati a leggere fino a qui, e proprio volete "farvi un giro" potete accedere ad una versione con una selezione di contenuti collegandovi qui ...
Un attimo! 
... però dovete usare un computer (non funziona ancora su mobile), avere Firefox come browser (anche gli altri comunque vanno benino; se usate explorer però non vi lamentate che non funziona eh?), uno schermo grande (la risoluzione nativa è una fullHD) e usare il mouse (se non avete uno schermo touch). 

PPPS:

Soprattutto dovete immaginare di essere a palazzo Branciforte a Palermo! E su questo non posso farci nulla.


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