Si è svolto fra ieri e oggi (29 e 30 ottobre 2012) a Firenze il I congresso di Archeologia Pubblica. Sono state giornate intense sia per il numero di relatori e di poster che per l'intenso livetweet (hashtag: #pubarch).
Non ho intenzione di fare una cronaca, dal momento che la traccia di questi giorni è nei tweet della giornata e in questo attento resoconto a cura del blog generazione di archeologi. Piuttosto preferisco condividere alcune riflessioni che mi hanno accompagnato in questi due giorni fiorentini, in cui sono emersi i primi segnali importanti di un cambiamento di mentalità che non potrà non avere esiti profondamente positivi, a condizione che la dimensione pubblica dell'archeologia si imponga come un a priori imprescindibile anche nel nostro paese.
1- dati (e occhi) ben aperti ...
Se l'archeologia del domani deve essere pubblica, e intendo sociale e sostenibile, deve dotarsi di strumenti idonei a supportare adeguatamente una prospettiva aperta e condivisa. Deve iniziare a parlare una nuova lingua, di cui gli open data siano l'alfabeto, che abbia però anche una grammatica, una sintassi e linguaggi comuni. Altrimenti i dati potranno anche essere aperti e disponibili a tutti, ma gli attori che interagiranno con essi non saranno niente più che semplici utenti, clienti passivi (e tutt'altro che liberi) di un'archeologia ridotta ad un enorme app store.
2- troppi monumenti, troppi reperti.
Spesso, ancora oggi, si sente parlare di archeologia come studio di oggetti, di manufatti (?) o di monumenti antichi. Ma questi sono solo ingranaggi (che certo per alcuni hanno il loro fascino in quanto tali) di un meraviglioso e potente meccanismo che produce interpretazione e astrazione. Troppa attenzione agli oggetti finisce col trasformarli facilmente in idoli e simboli, facile preda di propaganda, ideologie, false identità culturali. E distoglie l'attenzione dai legami (il famoso "filo" della collana), che invece sono molto più difficili da cogliere, ricostruire e raccontare.
Altrettanto difficile e affascinante è superare la declinazione esclusivamente monumentale del concetto di ricostruzione, e andare oltre la prospettiva dell'anastilosi (reale o virtuale che sia): il crollo di un monumento può essere una storia appassionante da raccontare quanto e più della sua costruzione, a patto che si capisca quale è il modo migliore per farlo.
3- antichi splendori e moderne banalità
"Riportare all'antico splendore" è un'espressione che non si dovrebbe più sentire, perché descrive un'impresa destinata al fallimento: non quello di scavare e non trovare nulla, ma quello ben più profondo di non comprendere il senso del proprio mestiere e del proprio ruolo sociale. Nella sua imbarazzante banalità nasconde un senso di romantica e mistica perdita di qualcosa che non c'è più e promuove una separazione apodittica fra ciò che è antico e ciò che è moderno, come se la nostra epoca non fosse più capace di produrre splendori.
La prospettiva pubblica dell'archeologia passa necessariamente attraverso la definitiva archiviazione della stagione dell'antiquaria e del classicismo (anche di quello che si nasconde dietro l'archeologia virtuale) e del contestuale recupero dell'anima creativa della disciplina.
Rimarremo allora molto stupiti scoprendo che davvero l'archeologia ha come obiettivo trovare un tesoro, che però non è nulla di "splendido" e magari nascosto sotto la X, ma piuttosto la ricostruzione della memoria storica, dispersa in tante tracce poco leggibili.
La prospettiva pubblica dell'archeologia passa necessariamente attraverso la definitiva archiviazione della stagione dell'antiquaria e del classicismo (anche di quello che si nasconde dietro l'archeologia virtuale) e del contestuale recupero dell'anima creativa della disciplina.
Rimarremo allora molto stupiti scoprendo che davvero l'archeologia ha come obiettivo trovare un tesoro, che però non è nulla di "splendido" e magari nascosto sotto la X, ma piuttosto la ricostruzione della memoria storica, dispersa in tante tracce poco leggibili.
4- verso la ricerca, e oltre!
C'è insomma tanto da fare in archeologia, che non sia solo ricerca. C'è da creare una professione, un mercato, una cultura d'impresa. C'è da immaginare nuovi rapporti e nuove regole fra gli attori di questo scenario, attivando tutti gli elementi che possono essere utili per costruire una dimensione pubblica che sia sostenibile e innovativa.
Ancora oggi invece l'archeologia è identificata perlopiù con la ricerca, l'accumulo delle informazioni, la tutela dei monumenti e la conservazione degli oggetti.
Ancora oggi invece l'archeologia è identificata perlopiù con la ricerca, l'accumulo delle informazioni, la tutela dei monumenti e la conservazione degli oggetti.
Come ha detto Daniele Manacorda nelle magistrali riflessioni conclusive della prima giornata, c'è un grande bisogno di innovare il settore e di ribaltare tutte le prospettive; della ricerca, della tutela, della valorizzazione. Ed è necessario che gli archeologi imparino ad essere non solo formiche, ma anche cicale.
Imparino cioè a sentire come proprie, accanto alla capacità di accumulo, registrazione e analisi dei dati anche l'intuizione e la creatività.
Capiscano la necessità e l'importanza della comunicazione e divulgazione, rifiutando la banale misurazione in termini di algida correttezza scientifica dei contenuti, e riappropriandosi invece dei linguaggi e degli stili narrativi.
Imparino a valorizzare la capacità di raccontare -e la 'generosità intellettuale' di chi si cimenta nelle ricostruzioni- come elementi fondativi non solo del proprio orizzonte intellettuale ma anche e soprattutto del proprio ruolo nella sua dimensione pubblica e civile.
Grazie Giuliano, sono convinta che la comunicazione dell'archeologia (che cos'è, che cosa fanno gli archeologi, e le archeologhe, visto che siamo il 70% di chi è attivo in archeologia) da parte di chi l'archeologia la fa, sia imprescindibile: l'inerzia e l'arretratezza del livello politico in materia di beni culturali, e beni archeologici, è riflessa e rinforzata dalla disinformazione generale, e quindi un'opinione pubblica correttamente informata (da noi) è indispensabile a qualsiasi politica aggiornata in materia. A Paestum https://www.facebook.com/notes/associazione-nazionale-archeologi/workshop-ana-il-futuro-dellantico-info-utili-logistica-e-convenzioni-paestum-17-/405273782875095 parleremo anche di questo.
RispondiEliminaLa comunicazione in archeologia potrebbe essere anche una risorsa per lo sviluppo e l'occupazione (anche e soprattutto degli archeologi); trascurarla è una colpa diffusa e grave e anche per questo il lavoro delle associazioni come l'ANA è fondamentale. Mi piacerebbe molto essere a Paestum ma quest'anno temo che non potrò. Seguirò tutto a distanza.
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