mercoledì 21 novembre 2012

La grande illusione

Molti di voi converranno sul fatto che le ricostruzioni dell'archeologia virtuale sembrano spesso assomigliare più a delle anastilosi monumentali che alla proiezione del ragionamento deduttivo e ricostruttivo dell'archeologo.

Ho detto dell'archeologo, non dell'architetto ...

... quasi che lo scopo della virtualità sia la banale resa dell'alternanza fra stato di conservazione e restituzione di un fantomatico "aspetto originario", e non uno strumento straordinario per veicolare la complessa dialettica - diacronica e multidimensionale - che esiste fra analisi, interpretazione e ricostruzione, e che qualunque archeologo sa bene essere il vero obiettivo (e il vero fascino) del proprio lavoro e la peculiarità del proprio orizzonte di conoscenza. Nell'immaginare una ricostruzione, infatti, un bravo archeologo si rifiuterà sempre di fornire la "correttezza" dei suoi risultati; piuttosto ti metterà a parte dei suoi dubbi e delle sue ipotesi.


Forse è l'attenzione esasperata ai pur innegabili meriti del rilievo e della "registrazione" dello stato di conservazione ad aver inconsapevolmente e subdolamente contribuito a far riemergere nell'archeologia virtuale quella prospettiva di unitarietà dell'antico che si pensava definitivamente superata nella seconda metà del secolo scorso, e a concentrare di conseguenza l'attenzione in modo quasi esclusivo su di una declinazione tutto sommato banale del concetto di ricostruzione. 
D'altronde fino a quando noi archeologi ci limiteremo a valutare quanto siamo precisi e accurati nelle nostre misure e ci accontenteremo di quanto siamo abili a gestire montagne di dati e informazioni, non potremo stupirci né lamentarci, se il messaggio che arriva al grande pubblico continuerà ad essere quello dell'archeologia come una strana liturgia di un culto misterico. O, nei casi più fortunati, una sovrapposizione fra un layer virtuale ricostruttivo e un rilievo (precisissimo, certo!) dello stato di conservazione. Una scelta, quest'ultima, ugualmente poco efficace non solo perché selettiva, ma perché rischia di avallare una visione piatta e semplicistica del processo analisi/interpretazione.

Che fine hanno fatto i risultati e le riflessioni di 50 anni di archeologia stratigrafica? Di tutta l'evoluzione metodologica degli ultimi decenni quanto siamo stati in grado di raccontare, di spiegare, di far capire al grande pubblico?
Poco o niente. Non si spiegherebbe altrimenti perché nonostante i nostri rilievi siano sempre più precisi, una quantità sempre crescente di dati sia conservata nei nostri database e interrogabile nei nostri GIS, tuttavia la Roma antica che appare in TV è ancora molto simile a quella dei kolossal anni '50. Tutta di marmo splendente e abitata da cittadini crudeli che non fanno altro che pugnalarsi a vicenda (preferibilmente alle spalle), oppure (incredibile, no?) fare strane cose, come lavarsi la mattina, cucinare o fare la spesa. E il medioevo dei film è un millennio un po' fantasy, in cui non splendeva mai il sole, tutti avevano la barba e quasi nessuno sorrideva ... Per non parlare dei vezzi misticheggianti e fantascientifici di Greci, Egizi e Fenici (ultimamente un po' in declino a Hollywood e dintorni).

Il dogma dell'identificazione fra ricostruzione archeologica e anastilosi provoca l'illusione che esista un 3D per l'archeologia, e che il 3D stesso sia un linguaggio comunicativo più che una tecnologia tutto sommato assolutamente asettica. Corollario di questo teorema è che tutto ciò che è 2D è ipso facto banale e poco cool, perché poco realistico e poco tecnologico. Eppure in 2D si possono fare cose bellissime come questa ...  O altre, che comunque proprio senza senso non sono, come spero si possano ritenere queste animazioni, realizzate per un progetto di cui ho già parlato ...





La fiducia nel 3D è tale che molti ricorrono alla formazione specialistica sperando di trovare nuove prospettive occupazionali, e si iscrivono a corsi di specializzazione o di formazione, orientati alla formazione di figure tecniche paradossali di 'esperti in modellazione 3D per i beni culturali' e simili che vendono a buon mercato la speranza che esista una specifica branca della computer graphic per l'archeologia o per i beni culturali ... per finire poi stritolati nella feroce concorrenza che esiste nel settore della comunicazione. Ovviamente le responsabilità sono diffuse, ed equamente ripartite fra la formazione universitaria che sonnecchia di fronte a qualunque innovazione, una politica di valorizzazione stregata dagli effetti speciali e l'assenza di una cultura di impresa davvero coraggiosa e innovativa.
Un elemento comune è che un'attenzione esclusiva ed acritica al fascino delle tecnologie digitali porta a tralasciare il più ampio tema della comunicazione, le cui componenti non sono il patrimonio, i giacimenti, i tesori & co., ma piuttosto le competenze, la creatività, i linguaggi espressivi e narrativi.

Insomma anche l'archeologia virtuale, potenzialmente foriera di novità e modernità, e la sua indubbia attrattiva produttiva e industriale rischia di non essere sfruttata pienamente per creare sviluppo, né culturale né tantomeno occupazionale: le capacità dei nostri laureati di immaginare, costruire racconti e descrivere mondi di conoscenza complessi rimangono inutilizzate, mentre i mass media continuano a proporre una Roma di marmo, un Medioevo oscuro e altri candidi stereotipi, lasciando appassire, insieme con la scientificità dei contenuti anche il fascino del nostro patrimonio. Fra chi le cose le sa e chi le vuole raccontare mancano i momenti di dialogo, per la sordità di chi dovrebbe ascoltare, ma anche per l'incapacità di trovare le parole giuste da parte di chi dovrebbe parlare. Faremmo meglio a ricordarcelo: trascurando di chiedere alle tecnologie di ascoltarci davvero, continuiamo a far raccontare ad altri le nostre storie dalla terra.


PS: i filmati di animazione sono di Fabio Gagliardi e Donato Vero.

14 commenti:

  1. caro Giuliano, hai colto a perfezione il problema: bisogna imparare a raccontare, sprigionare la creatività, prima di imprigionarsi in un mezzo comunicativo. è solo un mezzo, per l'appunto, e non tutto il messaggio.
    anni fa avevo predisposto un progetto di master in comunicazione della storia che insegnasse innanzitutto a comunicare, e poi a farlo con tutti i mezzi possibili e immaginabili. ho trovato accoglienze entusiastiche che si smorzavano però di fronte all'idea di un'investimento che non avrebbe prodotto figure professionali precise. non ho insistito, lo riconosco, però ad anni di distanza il problema rimane: mancano i professionisti di un settore cruciale per il nostro futuro, gente capace di trasmettere un'idea di antico diversa dalla solita sceneggiata che trasmette l'idea dominante ed errata di bene culturale. forse bisognerebbe riproporre l'idea della scuola. perché, come sempre, dalla scuola bisogna cominciare.
    Complimenti!
    Cinzia

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  2. cara Cinzia, grazie dei complimenti! Spero che la sbronza del 'technology driven' sia agli sgoccioli anche nella comunicazione dei bbcc e che si possa contribuire a dare vita ad una nuova, serena stagione del 'content driven'. Hai ragione, quei professionisti mancano, ma le capacità ci sono, ne sono portatori sani i tanti (giovani e meno) cui è stato prima insegnato che i bbcc sono solo ricerca e conoscenza e che poi sono stati messi davanti all'impossibilità di spendere le loro competenze. Questo sì che è un giacimento culturale!

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  3. Mi complimento con lei professore,
    per il suo articolo.Sono ancora inesperta in questo campo ma ritengo che l'archeologia debba sempre più aprirsi alle nuove tecnologie. Mi affascina l'unione di questi due mondi così diversi, quale l'archeologia legata ad un passato remoto in cui regna la cultura umanistica e il mondo virtuale legato ad una tecnologia altamente complessa e proiettata verso il futuro.Questi due mondi possono sembrare distanti ma hanno un "comune denominatore", unire insieme dati con metodologie simili e ricostruire ciò che l'oblio del tempo vuol far svanire.
    Necessariamente si deve aprire un dialogo tra questi due mondi,non conflittuale, com'è successo in passato tra cultura umanistica e quella scientifica ma piuttosto ,aprire un dialogo di metodologie integrate che restituiscano il passato dell'umanità al futuro.

    Saluti
    MP

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    1. Sai quanto in laboratorio cerchiamo di portare avanti progetti basati sulla consapevolezza delle potenzialità di essere archeologi. Continueremo a cercare denominatori comuni che permettano di sfuggire a tutti gli oblii, sia quelli del tempo passato che quelli del tempo presente, che sono decisamente più fastidiosi ...

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  4. Beh, diciamo che nel mondo dei Beni Culturali c'è una concezione piuttosto superficiale della computer grafica e delle tecnologie in generale.

    Chiaramente in questo lungo ed interessante (dico davvero) post non si sta parlando in realtà delle "tecnologie vere e prorie", ma dell'impressione che se ne ha sbirciando da quelle interfacce grafiche che hanno reso "facili all'uso" software un tempo accessibili solo ad addetti ai lavori.
    Visto che van di moda i tecnici potremmo definirlo un "discorso GUI-oriented".

    Spiace che si sia frainteso questo aspetto. La curva d'apprendimento necessaria a produrre risultati interessanti si è di molto accorciata e subito si è ritenuto che parole quali "conoscenza" e "competenza" non costassero più di qualche tempo ad impratichirsi su "tasti e mouse".

    Spiace soprattutto perché il mondo del lavoro ti presenta immediatamente il conto.
    E tra le visioni hi-tech e un po' naif di professori appassionati di "nuove tecnologie" (che il mondo del lavoro non l'hanno mai visto), a rimetterci
    sono soprattutto gli studenti.
    Di sicuro senza un adeguata e approfondita preparazione teorico/pratica, la vedo davveto dura.
    Il mondo dell'informatica diventa sempre più complesso e giustamente richiede sempre più specializzazione. Come solo pensare quindi di poterci mettere piede sapendo e sapendo fare un po'di tutto e tanto di niente?

    Approposito, qunado la si finirà di chiamare "nuove tecnologie", settori che sono in piedi più o meno dagli anni '70?
    Se mai sono "nuove", quando si scoprono nuovi metodi di untilizzarle o estenderle.

    Capisco la necessità di dover parlare di "fiducia nel 3D", ma è alquanto difficile relazionarsi con un concetto tanto ambiguo e inconsistente (per non parlare di "virtuale").
    Il cosiddetto "3D", essendo fondamentalmente composto da una forte ed estesa base matematica, da questa ne eredita una grande capacità descrittiva.
    Se guardiamo un attimo oltre l'interfaccia si ha la possibilità di contemplare infinite possibilità concrete.
    Lo stessto vale per il cosiddetto "2D".
    L'inefficacia di queste risorse va attribuita quindi in gran parte ad una conoscenza molto approssimata o ad una ottusità di fondo nel vederne solo gli
    aspetti più "cool" (come hai ben scritto).

    Immagino quanto sia stata immediata l'implicazione: posso usare ergo posso comunicare.
    Ma non si è fatto altro che infilare tutto in un unico e confuso calderone, senz'altro efficace per alimentare
    quelle interminabili e vuote discussioni accademiche.

    Io mi aguro che l'Archeologo in futuro rinunci alle pretese di onniscenza/onnicompetenza e ritorni all'Archeologia.
    Più che altro perché, mentre si è impegnati a far altro, gli studi tanto criticati magari cercano spesso
    esperti del settore preparati proprio dal punto di vista della comunicazione da impiegare come writer o advisor, senza trovare risposte autorevoli.

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    1. Ma sì, dai lo dico; se non lo dico qui dove altro potrei farlo? Forse l'archeologia globale è il più grande nemico dell'archeologia ... Almeno fino a quando saremo affascinati da questo nuovo positivismo onnivoro (certo, più raffinato metodologicamente, ma sempre di positivismo si tratta), alimentato da anni di falsa multidisciplinarietà, per forza di cose continueremo a tralasciare altri aspetti culturali, più delicati e più interessanti e a confondere mezzi e fini, strumenti e contenuti.

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    1. la globalizzazione ha distrutto un pianeta. non lasciamo che distrugga anche noi

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  6. Arrivo in ritardo, per dire una cosa certamente banale rispetto alle considerazioni fatte da Giuliano e da Fabio.

    Riguarda la qualità dei prodotti della "archeologia virtuale" e la visione che esprimono. Continuo a vedere ricostruzioni geometricamente impeccabili di monumenti e abitazioni (anche umili, come le capanne tardoantiche del senese o quelle dell'anfiteatro di Pollenzo). Non vedo mai qualcosa in grado di stimolare il pubblico e di coinvolgerlo, sempre modellini che sembrano fatti da architetti (per ri-costruire) e non da archeologi (per capire). Non so quanti hanno passato un po' del loro tempo da adolescenti con videogames in pseudo-3D come Baldur's Gate: ebbene, con ambientazioni semplici e sotto tanti aspetti ripetitive, personaggi ed oggetti con cui interagire, musiche, lo scorrere del tempo tra giorno e notte, strade sporche ... si creava qualcosa che secondo me l'archeologia virtuale non ha ancora imparato a concepire. Eppure è tecnologia vecchia, vecchissima (sottoscrivo in pieno quanto scrive Fabio a proposito di "nuove tecnologie") in cui però è stata messa un'anima. Molti conosceranno Assassin's Creed (a cui non ho mai giocato, ma non importa) e la rinnovata fama che ha portato a luoghi come Monteriggioni. Ma non ci abbiamo pensato noi, ci hanno pensato "gli altri".

    E qui mi riallaccio al secondo tema, ovvero quello della formazione. Quando nel 2005 ho fatto la tesi di laurea su "Archeologia e Virtual heritage .. etc etc" ho dovuto installarmi alla facoltà di Ingegneria perché né io né la facoltà di Lettere avevamo computer in grado di lavorare con programmi di modellazione e rendering. La cosa che più mi è rimasta impressa sono le ore e i giorni necessari per avere un singolo rendering. Questa è una barriera infrastrutturale molto forte, che forse spiega la banalità di tanto "3D" fatto da archeologi ma non spiega perché non ci si rivolga a professionisti. Sono perplesso e preoccupato dal fatto che per una parte degli archeologi questi strumenti siano considerati "informatica" solo perché funziona su un computer (lo stesso discorso varrebbe per il video, per dire) facendo tutto un minestrone di specialità che da sole valgono una vita intera di pratica e apprendimento.

    Una nota sull'archeologia globale, scusate se sarà un po' personale e frammentario. L'archeologia globale non è tuttologia, ma è (stata) la consapevolezza che l'archeologia studia sistemi complessi che hanno bisogno di essere guardati da molti punti di vista. Uno dei suoi padri, Tiziano Mannoni, qualche anno fa mi raccontò come anni addietro, dovendo valutare la consistenza di una stratificazione in un sito di altura, si resero conto che avrebbero potuto utilizzare metodi geognostici. Decisero di chiamare un ricercatore del CNR, uno dei massimi esperti di questi metodi di indagine che probabilmente non aveva mai messo piede su un sito archeologico. Ebbero la possibilità di farlo perché avevano delle conoscenze di base in quell'ambito, tali da capire cosa poteva servire. Ebbero l'umiltà di chiedere aiuto a chi ne sapeva di più. La stessa cosa si verificò con le analisi minero-petrografiche, quelle chimiche in seguito, le fonti storiche, la toponomastica. Questa era l'archeologia globale. Ora non c'è quasi più e si preferisce inventarsi esperti. In questo l'informatica archeologica è pessima, e infatti tutti almeno una volta siamo stati convinti di essere pionieri, con cose vecchie di 40 anni.

    (Questa è una libera ricostruzione di quello che avevo scritto quando il post era stato pubblicato).

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  7. Ciao Stefano, citare un fenomeno come quello di Assassin's creed, non è assolutamente banale.
    Soprattutto se il fenomeno ludico in questione ha determinato nelle location proposte, un afflusso non indifferente di nuovi turisti.

    inoltre se si va a studiare un attimo questi prodotti, si va a leggere che gli sviluppatori, i disegnatori e tutti i cosiddetti "tecnici", hanno lavorato fianco a fianco con storici come il prof. Marcello Simonetta.
    Qui un intervista.
    http://www.livescience.com/8945-renaissance-scholar-helps-build-virtual-rome.html

    Insomma dettagli che meriterebbero di essere approfonditi. Anche perché come vedi non esiste nessun "altri", se non per il fatto che è stato prodotto in Canada.
    In questi studi c'è un altissima attenzione per l'aspetto professionale, se devono occuparsi di storia, assumono gente preparata e che sa comunicarla. Ognuno fa il suo mestiere e in questo caso sono pure italiani.

    Cito la parola "tecnico" non a caso, visto che da "tecnico" ho dovuto sempre ascoltare infiniti discorsi di come gli archeologi devono prendere in mano questi strumenti per riprendersi l'archeologia dai "tecnicismi" al grido di "archologia globale".
    Quando magari la contesa non dovrebbe essere con gente come me che scrive codice su una tastiera.
    Per questo mi fa piacere leggere il tuo punto di vista.

    Per quanto riguarda la formazione. In realtà è proprio il cadere uno dopo l'altro di quelle barriere infrastrutturali di
    cui parli a portare un certo fraintendimento nell'approccio all'informatica.
    E'diventato molto facile ottenere risultati immediatamente realistici o "foto-fighi" come preferisco definirli.
    Ma come si è semplificata l'interazione con qualsiasi altro settore dell'informatica.
    E ripeto che su questo la realtà è il mondo del lavoro ti tirano delle belle secchiate d'acqua gelida appena metti fuori il muso.

    Naturalmente con questo non voglio dire che la formazione deve necessariamente chiudersi alla "tecnologia", anzi c'è l'assoluta necessità di formare "bravi utenti", in grado un giorno di poter scegliere il mezzo di comunicazione migliore e l'offerta più adatta dei professionisti del settore in cui ci si vuol muovere.

    Gente che magari eviti di andar dietro alle "nuove tecnologie", investendo svariati paperdollari in IPad. Al di là dell'approccio touch, implementano specifiche vecchie di dieci anni e facilmente riproducibili a basso costo.
    Giusto per fare un esempio.

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  8. Dissento con quanto scrive Giuliano al quale sono legato da un rapporto di profonda stima. Dissento perché fare di una erba un fascio è sbagliato sempre, mentre invece il discorso sulle nuove tecnologie comprende applicazioni, rielaborazione, test, sperimentazione che coinvolge diversi settori di ricerca a diverso livello e velocità. Se oggi parliamo di una "...attenzione esasperata ai pur innegabili meriti del rilievo e della "registrazione" dello stato di conservazione" lo si deve proprio ad uno sviluppo tecnologico e metodologico che si è realizzato in luoghi diversi dall'archeologia. Noi abbiamo semplicemente raccolto questa sfida e con approcci e prospettive diverse cerchiamo di capirne l'importanza e la loro "applicabilità" al campo dell'archeologia. Qualcuno lo fa su un terreno più teorico, altri su un piano di sperimentazione. Ognuno, per così dire, tenta la sua strada. D'altronde la scienza è per salti come direbbe Kuhn laddove un nuovo paradigma viene introdotto nella scienza da un elemento del tutto fortuito. Io credo che siamo in quella fase della scienza che Kuhn chiama normale perchè altro non è che il riutilizzo di un bagaglio di esperienze, tecniche e strumenti che consentono di approfondire quanto già conosciamo.
    Misurare con precisione la distanza delle terra dalla luna non cambia la nostra conoscenza dell'universo (almeno lo mia). Cosi come l'esplorazione sistematica del corpo umano non rende l'uomo immortale. Non abbiamo strumenti per misurare l'anima sebbene molti pensano che esista. Non devo dimostrare di aver visto l'anima per giustificare l'impiego di TAC, Risonanza o altro. Si tratta di pura diagnostica che non interviene sulla malattia, sulla sua natura, sul suo decorso e non muta le nostre conoscenze sul corpo umano. Però ha uno scopo innegabile: consente di vedere laddove prima si poteva solo attraverso un intervento chirurgico. Per questo allora le TAC non servono? Beh io penso che servano. Il problema è che in medicina c'è un settore disciplinare che si chiama Diagnostica per Immagini. Non si tratta di un settore di fotografi o di informatici o ingegneri come qualcuno, in risposta al tuo post, pure richiamava. Si tratta di medici addestrati ad utilizzare macchine per produrre informazioni. Tutto qui. Se uso il laser scanner, la macchina fotografica o la stazione totale ho il compito di produrre una documentazione corretta, precisa e accurata che sarà condivisa e utilizzata da quanti vogliano provare e cimentarsi in una interpretazione/ricostruzione. E' vero che la conoscenza ne esce ulteriormente parcellizzata, ma perché non pensare ad un sapere che non sia solo tecnico-strumentale, ma anche scientifico quando si adoperano queste strumentazioni?
    La precisione non è una misura astratta. Essa è funzione del metodo e degli strumenti. Nessuno potrà mai rendere preciso un rilievo degli anni 20. Il problema è che ancora oggi molti rilievi sono del tutto errati e inutilizzabili. Questo pensiero debole che mi pare di leggere nel tuo post sinceramente rafforza quanti ritengono che l'archeologia debba rimanere circoscritta al coccetto, allo strato e al bel libro con tante figure a colori magari pubblicato a distanza di anni dalle scoperte. Io lo so che per te non è così, ma temo che un ragionamento come quello che proponi vada nella direzione di rafforzare un orientamento storico-artistico alla disciplina. Giustamente sottolinei l'assenza di dibattito dopo l'introduzione dello scavo stratigrafico. Eppure autorevoli studiosi, come Brogiolo, ne auspicano una profonda rivisitazione non tanto in termini metodologico-scientifici quanto in termini di utilità reale per l'analisi e la ricostruzione di uno scavo. Brogiolo ritiene che l'eccessiva produzione di US rende più complessa la pubblicazione di uno scavo e non porta reale contributo....(ho forse reso un pò estremo il suo ragionamento). A presto Ciao
    Andrea

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  9. scusami ero loggato con un altro account. Sono Andrea D'Andrea

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    Risposte
    1. Caro Andrea,
      Grazie per il tuo contributo. Il dissenso, soprattutto quello convinto e documentato è sempre positivo e assolutamente benvenuto in queste pagine, soprattutto per lo stimolo che rappresenta per me a continuare a riflettere e ragionare.
      D’altronde molti dei miei post vogliono essere una provocazione …
      Ora, è indubbio che la precisione sia un valore, non ho intenzione di negarlo. Gli esempi che fai sono molto interessanti e, come sempre, molto evocativi.
      Ora, il punto è che io non ho alcuna intenzione di negare la necessità della precisione in archeologia, ma piuttosto di mettere in guardia da quella grande illusione che per me è nascosta nella convinzione che la tecnologia serva solo (o perlomeno quasi esclusivamente) ad essere precisi.

      E’ così infatti che si finisce con avallare l’archeologia del coccetto, perché sembra che gli archeologi non sappiano chiedere altro che precisione e quantità. O, nel nostro caso, riproporre l’archeologia come sinonimo di studio dei monumenti trascurando, sotto l’abbondanza di dettaglio, la necessità di capire e ricostruire in un senso ben più profondo.
      Anche io vedo molta debolezza nell’archeologia di oggi, ma per me è tutta nel rinunciare a capire e fare propri anche i linguaggi che le nuove tecnologie di comunicazione rendono disponibili e utilizzarli per immaginare, creare un racconto, renderlo comprensibile e narrarlo. La mia non è una posizione idealistica né tantomeno romantica, perché chiedo solo agli archeologi di utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione (e soprattutto quelli straordinari che hanno a disposizione oggi) per imparare anche a divulgare le loro storie (o ricostruzioni che dir si voglia).

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