martedì 17 dicembre 2013

La dolce ala della giovinezza

Queste ultime settimane sono state convulse per il mondo dei beni culturali. Pochi giorni fa le nuove nomine per il grande progetto Pompei, nelle ultime ore un vivacissimo dibattito sul recente bando 500 giovani per la cultura.
Due eventi solo apparentemente scollegati, ma che rivelano quanto sia profonda la crisi dei beni culturali in Italia, schiacciati dalla difficoltà di innovare e dalla persistenza di logiche a dir poco antiquate.
Abbiamo già parlato e commentato le vicende del grande progetto Pompei, ma anche quanto sta avvenendo intorno al bando '500 giovani' è al tempo stesso emblematico e preoccupante. Si tratta di un bando che prevede la "selezione di cinquecento giovani laureati da formare, per la durata di dodici mesi, nelle attività di inventariazione e di digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, presso gli istituti e i luoghi della cultura statali". Per il bando è stanziato un finanziamento che poesiamo definire epocale nel nostro settore (2,5 Meuro), da dedicare al rimborso spese dei partecipanti. Ovviamente, data la situazione occupazionale, disastrosa in Italia (e particolarmente nel settore), è chiaro che questa opportunità viene vissuta dai potenziali partecipanti come una boccata di ossigeno, e in definitiva come opportunità lavorativa. E di conseguenza la 'retribuzione' (che si attesterebbe nell'ordine di 2-3 €/h per ogni partecipante) viene considerata oltraggiosa.
La tempesta che si è scatenata dopo la pubblicazione del bando (seguite l'hashtag #500schiavi, #500destini #500no e troverete tutto) è stata parzialmente placata ieri da un intervento del ministro Bray, che ieri sera ha annunciato alcune modifiche legate soprattutto ai requisiti di partecipazione e al trattamento economico dei corsisti.
Questi i fatti (mi perdonerete le imprecisioni e se ho trascurato molti dettagli).

Con l'intervento di ieri il ministro ha confermato di essere un interlocutore attento, scrupoloso e competente, in grado di ascoltare le voci di tutti, anche quelle di chi protesta. Proprio la sensibilità e la rapidità dimostrata in questa occasione mi spinge a chiedere di fare un ulteriore passo in avanti, di osare di più.
Cancelliamo questa iniziativa e pensiamo a qualcosa di diverso.
Di profondamente diverso. Non serve a nulla limitare alcuni aspetti, che mi permetto di definire marginali, di questo bando, ma sarebbe invece un'inversione di rotta epocale evitare almeno una volta di disperdere nell'assistenzialismo il nobile intento di dare risposte e risorse a questo settore. Il vero fulcro del problema non è infatti mitigare la severità dei requisiti richiesti dal bando, ma evitare un'operazione inutile e dannosa, che risponde solo alla micidiale 'logica del contrattino'.
Quella che "per ora è qualcosa, poi non so, vedremo".

Vogliamo riavvicinare la società alla politica? Allora la politica ascolti veramente le richieste di chi protesta. Di chi, senza urlare, manifesta dignitosamente il proprio dissenso e chiede che venga ascoltata la propria voce.
La voce di quanti dicono che il tono paternalista di questo bando risulta insopportabile per i professionisti: per chi lavora, ma anche per chi, come me, i professionisti contribuisce a formarli (a proposito, ma dove sono le Università in questi giorni? Nessuno difende il ruolo dei formatori?).
La voce di quanti fanno notare come esistono mille modi diversi, e migliori, per impiegare 2,5 Meuro per i beni culturali, che non sia insistere inutilmente sulla formazione.
La voce di quanti ricordano che se c'è una cosa che non manca ai professionisti dei beni culturali è proprio la formazione. Fra trienni, magistrali e scuole di specializzazione abbiamo corsi di studio degni di un chirurgo, che però non portano a nulla. E' su quel nulla che si deve lavorare, è a quel nulla che deve guardare, con coraggio, la politica.

Allora coraggio, ministro, iniziamo adesso. Iniziamo a valorizzare le energie e se vogliamo anche l'abusato concetto di "passione", ma non per far accettare alla gente 4 spiccioli, o per mascherare il merito dietro barriere di accesso inutilmente severe.
Diciamolo chiaramente che questo triste esercito di 500 inutili stagisti non produrrà niente, e, passati 12 mesi (poniamo pure per assurdo che avrà 'inventariato e digitalizzato' il nostro patrimonio), non avrà creato nessuna opportunità, ma avrà solo rafforzato l'idea che nei beni culturali si possa solo sopravvivere, e a spese dello Stato.
Facciamo invece per una volta, per la prima volta, una proposta diversa, che tolga i giovani dalle grinfie dei dirigenti, dalla chimera del posto e soprattutto dall'avvilente necessità di essere dipendenti da bandi e contratti che non servono a nulla. Diamo loro una mano a diventare autonomi, utilizziamo queste risorse per favorire l'imprenditoria giovanile, per progetti culturali, per animare i musei, per dare in affidamento i parchi archeologici, per iniziare a costruire un'economia moderna, sana, sostenibile e laica intorno al nostro patrimonio.

Alla politica spetta un ruolo diverso da quello di generoso dispensatore di elemosine. Spetta il compito di saper guardare avanti. E ogni volta che la società, i lavoratori, i giovani, i professionisti sono più avanti della politica, questa dimostra di essere completamente scollegata dal mondo reale. 

9 commenti:

  1. Il problema è che quei soldi sono vincolati nel budget del Ministero alla voce "formazione".
    Quindi ben venga che invece di spenderli per gli interni vengano spesi per gli esterni, per giovani studenti. Ma il vulnus è un altro: è che il Ministero si mette a fare concorrenza formativa alle Università, invece di incentivarle a coprire la formazione in un settore che loro valutano come pari a zero (salvo rare eccezioni).
    Se avessero voluto fare una cosa seria, avrebbero preso dei progetti (e non questa massa di digitalizzazione che non ho ancora capito quale capo e quale coda abbia), li avrebbero affidati alle aziende (con l'obbligo specifico di stage veri e potenziali ricadute occupazionali per il futuro), ai laboratori universitari (idem come sopra), o semplicemente avrebbero potuto ridurre drasticamente la platea degli aventi diritto, magari a 100 o anche 200 persone, trasformando il tirocinio in apprendistato.
    Ora tocca correre ai ripari, riducendo drastissicamente le ore di prestazione, per aumentare in maniera apparente il rimborso/retribuzione.
    Per non parlare dell'incredibile scelta di fare un'Italia del merito basata su un pezzo di carta: io ho un Dottorato, un master, 4 scuole di alta formazione (di cui 2 al CNR e alla SNS di Pisa) e non posso partecipare al bando, mentre un laureato in sicurezza informatica che ha una certificazione B2 è più meritevole di me. Lui che magari dovrà valorizzare qualcosa di cui non conosce neanche il significato, quindi parteciperà a questo bando con l'unica speranza di tirare su qualche centesimo per la birra del sabato sera. Italia del merito? But please...
    Se non si possono dare in formazione conto-terzi, che li si stornino mantenendoli in un budget di valorizzazione come da bando ma creando 100 assegni di ricerca di 12 mesi gestiti direttamente dal Ministero su 100 progetti specifici. Allora sì che si valorizzerebbe il patrimonio come si deve (anche se un forse in questi casi non guasta mai) e si darebbe dimostrazione che la volontà di fare qualcosa di buono non viene appiattita sull'elemosina da quartierino ma guarda verso progetti degni di siffatto nome.

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    1. E quindi ci avviciniamo ad un altro problema, che è quello della programmazione, e del perché, come e quando si sia deciso di inserire in budget un intervento formativo, ignorando che esiste già una formazione specifica nel campo dei bbcc, svolta quotidianamente nelle Università. Con tutte le debolezze e le criticità possibili, certo, ma con questo bando si introduce ulteriore rumore in un settore già caratterizzato da un disordine pazzesco (normativo, formativo, scientifico, ecc.). Non è un bel messaggio quello che passa.

      Un altro punto è la digitalizzazione. Ma davvero pensiamo che i 500, per giovani e forti che siano, digitalizzeranno qualcosa? Dove? Seguiti da chi? Cosa? Con quali criteri? Cioè, in 12 mesi devono imparare e farlo pure? O solo imparare? O solo farlo? Mi piacerebbe anche sapere che tipo di policy verrà utilizzata per la fruibilità di questi mitici dati digitali che verranno creati. Saranno, come nella migliore tradizione, conservati gelosamente negli archivi o inizieranno ad essere resi pubblicamente fruibili? A proposito, non dimenticatevi di firmare la petizione per gli opendata nei bbcc (http://www.beniculturaliaperti.it), una battaglia di civiltà, e soprattutto di modernità, quella vera.

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  2. Vogliamo davvero spendere2,5 milioni di euro per la formazione? Allora cominciamo a farlo seriamente, senza fingere di formare quando invece si cerca soltanto manodopera a basso costo da impiegare per un anno in attività che non si è capito bene a cosa servano. Il risultato di questo famigerato bando sarà solo quello di illudere i #500schiavi o #500destini che dir si voglia, che potranno un giorno, magari, lavorare al ministero. Follia pura, ovviamente.
    Cominciamo seriamente. Qual è la maggiore carenza delle facoltà umanistiche oggi? L’assoluto scollamento rispetto al mondo del lavoro. E allora quei 2,5 milioni di euro utilizziamoli per favorire l’incontro dell’imprenditoria con il mondo accademico attraverso l’attivazione di tirocini/stage VERI presso piccole e medie imprese del settore, enti pubblici, musei, per esempio, partendo dallo sviluppo delle tesi di laurea dei neolaureati.
    Hai un progetto, una ricerca che potrebbe dare un contributo alla valorizzazione dei beni culturali, del territorio in cui vivi? Bene, io Stato, ti aiuto a svilupparlo, a fare in modo che non resti solo carta straccia, affiancandoti esperti di start-up, esperti di legislazione, esperti di economia aziendale, esperti di comunicazione, esperti che sanno come si passa dalle idee al lavoro reale, che produce reddito e conoscenza condivisa. E così magari, io Professore Universitario, ci penso due volte prima di affidarti un progetto di ricerca che non serve a nulla. E io, Studente, magari capisco che i miei anni di studio devono servire a guardare al futuro.
    Soltanto così si punta sull’eccellenza e non sulla disperazione.
    Creiamo una Silicon Valley della cultura. Facciamolo in Italia, dove sennò?

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    1. Le tue idee sono belle, lucide, e tanto realiste che fanno sognare chi è abituato a sentirsi proporre grigi bandi di sopravvivenza. Dobbiamo far capire a chi ha il potere di decidere e programmare che fra gli archeologi non c’è voglia di vivacchiare, ma ci sono invece tante idee, tante parole nuove, come quelle che usi: start-up, economia, comunicazione, futuro. Sono i segni di una nuova generazione, in cui l’età non conta, ma è evidente la mancanza di rappresentanza.

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    2. Condivido molto le idee di Antonia. Creare un hub dell'innovazione dei beni culturali, non avverrà mai in Italia a meno che non riusciamo ad ottenere:
      - un ruolo diverso dallo Stato (inteso come MIBACT), un ruolo di garante delle regole e non di monopolista, un ruolo di infrastruttura e non aziendale;
      - uno svecchiamento universitario, che sia più attento alla realtà;
      - una certa unitarietà del mondo professionale sui principi generali: meno individualismo più collaborazione, cioè convergere sulle idee di base (magari poche), ma tutti uniti.
      In pratica sta a noi non pentirci di non averci provato.

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  3. Ho letto il post ispirato di Giuliano, i commenti e trovo molte opinioni condivisibili. Questo mi fa pensare che, in questi giorni, un ristretto gruppo di 'esperti' sta lavorando alla riforma del MiBACT. Dalle prime uscite non mi lascia ben sperare: non sono le riforme che io ho o altre come noi vorrebbero per i Beni Culturali, ma sono le riforme che altri vorrebbero per noi. Ho, quindi, una piccola proposta: perché non mettiamo a disposizione un google docs (o altra forma di condivisione) per discutere e proporre, dal basso, le politiche che più riteniamo utili per i Beni Culturali. Magari non ne uscirà niente, ma diamo ad archeologi, archivisti, bibliotecari, storici dell'arte la possibilità di essere efficaci (o almeno di provare a esserlo). Se ne uscirà qualcosa di buono potremmo sistemarlo e presentarlo, altrimenti ci avremmo provato.

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    1. Bellissima idea. Detto fatto: https://docs.google.com/forms/d/1-PRYGlAd2NHij1NKW7il8P8sd0r9er8GeMaqRD48y3k/viewform

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  4. Ho letto con attenzione (e più volte) tutti i commenti.
    Tutti affrontano il problema (che contiene altri problemi) in maniera diversa e ne sviscerano una parte importante. Questo ci dovrebbe far rendere conto di quanto poliedrica e sfaccettata sia tutta la vicenda.
    Simone ha ragione: se i 2,5 mln sono legati alla voce "formazione", non c'è storia. Possono essere usati solo per quello.
    Anche Giuliano ha ragione: per favore, fermiamo tutto e cancelliamo il bando. Amici come prima, ci avete provato ma - com'è uso dire in politichese - diciamo che siete stati fraintesi.
    Certo, già i passi indietro sono rarissimi e difficili da ottenere (e di questo non possiamo che darne atto al Ministro), ma addirittura le cancellazioni! "Cosa mi dici mai!?", direbbe il possibile prossimo Primo Ministro Topo Gigio (a proposito, sapevate che Topo ha un sito internet con link social e pagine tradotte in due lingue?).
    L'idea che mi sono fatto io è che quei soldi dovevano essere usati (non investiti) nel settore culturale (possibilmente per dare qualcosa "di moderno" da fare ad un numero imprecisato di pseudo-giovani) per potersi riempire la bocca. Quindi si buttano quei tanti soldi (chissà quante cose ci sono passate per la testa a pensare a tutti quei dindi!) in una cosa inutile.
    Se si voleva effettivamente investire quella somma di denaro, si doveva pensare a qualcosa che non generasse solo occupazione di professionisti (che, in quanto tali, sono già formati) ma anche indotto "sano".
    Si è fatto un gran parlare di "dialogo imprescindibile tra cultura e turismo", tanto che ci hanno rinominato anche il Ministero che ormai suona come uno sciroppo per la tosse e i primi sintomi influenzali. Allora inneschiamolo 'sto benedetto indotto!
    Azione 1: ripristino e messa in sicurezza di aree archeologiche, residenze storiche, musei, ecc.
    Azione 2: migliorare l'accessibilità e la raggiungibilità dei suddetti.
    Azione 3: comunicare con strategie e metodologia ad hoc il patrimonio appena rimesso in sesto.
    Quante ditte o imprese avrebbero beneficiato dei 2,5 mln? Tante. Quante persone avrebbero lavorato? Sicuramente più di 500. Cosa sarebbe successo? Forse saremmo stati in grado di far vedere al mondo che ci sappiamo fare e che almeno un minimo ci teniamo alla nostra storia e ai nostri beni culturali. Inoltre avremmo dimostrato che nei momenti di peggiore difficoltà, siamo cazzuti come pochi e ci rimbocchiamo le maniche pronti alle battaglie campali. Ovviamente non sarebbe stato solo questo il nostro scopo, ma incrementare di conseguenza il turismo interno ma soprattutto esterno, generare una ricaduta nel settore ricettivo e dei servizi, rilanciare giusto un po' la nostra immagine nel mondo e non presentarci miseramente - come inevitabilmente faremo - all'EXPO 2015 (tanto per dirne una).
    Anche l'idea di Antonia è assolutamente intricante e stimolante: ben sviluppata e gestita sarebbe un sogno per molti di noi.
    La mia idea - con le sue mancanze e "rozzaggini" programmatiche - come tutte le altre, sono solo alcune delle 500 e più idee che si potevano accendere con quei 2,5 mln di euro. Altro che 500 schiavi!

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