Dunque abbiamo il direttore generale e il vicedirettore vicario del grande progetto Pompei. Sono, nello specifico, un ex generale del nucleo di tutela del patrimonio culturale dei Carabinieri e un alto funzionario del ministero, storico dell'arte, distintosi per la gestione dell'emergenza post terremoto dell'Aquila. Persone che hanno fatto il loro lavoro in modo eccezionale e specchiato e faranno altrettanto anche in questa occasione. Persone egregie, veri professionisti.
Professionisti, appunto. Come lo sono gli archeologi, anche se continuiamo a non accorgercene, e ad immaginarceli come bizzarri avventurieri alla perenne ricerca di misteri destinati a rimanere tali, eccentrici cultori di Antiche bellezze ormai perdute o serissimi ricercatori in camice bianco intenti a misurare o a descrivere qualcosa di incomprensibile al resto della popolazione. O, perlomeno, evidentemente non dotati di quelle competenze necessarie a gestire un piano straordinario per il più grande sito archeologico italiano. Perché è di questo che si tratta e bisognerebbe ricordarselo: prima di essere parco o risorsa turistica Pompei è un sito archeologico e come tale andrebbe gestito.
E' vero, gran parte dell'Italia è un territorio a rischio, esposto alla malavita organizzata, al dissesto territoriale, al disagio sociale (che se vogliamo sono aspetti dello stesso problema), ma non possiamo per questo motivo delegare tutto ai professionisti della sicurezza e dell'ordine pubblico. Usando questa logica dove ci fermeremmo? Ci immagineremmo mai di assumere finanzieri per stroncare il fenomeno dei portoghesi sui mezzi pubblici? O di scegliere i sindaci fra le forze dell'ordine?
Questa scelta rivela un enorme senso di insicurezza e di fragilità, ben più grave di quella delle rovine di Pompei. Una fragilità etica che avvolge l'intero paese, costretto a vivere nell'emergenza continua e a cercare rifugio, di conseguenza, in figure forti e rassicuranti. A ben guardare la decisione di mettere a capo del progetto un militare (per quanto specializzato) dimostra infatti una crisi profonda, in cui le uniche professionalità richieste sono quelle degli operatori dell'emergenza. E' una mossa solo apparentemente forte, che rivela invece grande debolezza e grande paura: debolezza, tutta politica, di non poter imporre decisioni forti, anche coraggiose, che vadano verso un cambiamento, che tutti invocano ma per cui nessuno fa ancora un passo significativo in avanti. E paura. Dell'inondazione, del terremoto, della frana. Paura del crollo.
Temo i costi di questa operazione, non quelli che deriveranno dagli appalti gonfiati, e dal giro delle tangenti, su cui sono sicuro che almeno questa volta vigileranno occhi esperti. Temo invece i costi più nascosti dell'ennesimo restauro che non risolverà le cause del degrado o di opere di ripristino finalizzate solo alla fruizione turistica, con buona pace dei concetti oramai diffusi fra i professionisti del settore, che per la gestione dei siti chiedono sostenibilità nella gestione e nella manutenzione.
Gestione e manutenzione, la cui mancanza è il terreno in cui attecchisce il paradigma dell'emergenza.
La sensazione è, ancora una volta, quella di aver perso un'ennesima importante occasione. L'occasione di nominare un archeologo a Pompei, per riconoscere che i beni culturali sono un settore in cui non operano hobbisti appassionati, ma professionisti seri. E per dimostrare che solo attraverso la normalità e la valorizzazione delle competenze si potrà uscire definitivamente dalla perenne emergenza in cui ci siamo abituati a vivere.
Gestione e manutenzione, la cui mancanza è il terreno in cui attecchisce il paradigma dell'emergenza.
La sensazione è, ancora una volta, quella di aver perso un'ennesima importante occasione. L'occasione di nominare un archeologo a Pompei, per riconoscere che i beni culturali sono un settore in cui non operano hobbisti appassionati, ma professionisti seri. E per dimostrare che solo attraverso la normalità e la valorizzazione delle competenze si potrà uscire definitivamente dalla perenne emergenza in cui ci siamo abituati a vivere.
Giuliano, permettimi di dire che decenni di archeologi l'hanno prodotta quella situazione a Pompei... archeologi che poi hanno risposto che la colpa era di chi non gli dava i soldi... però se anche avessero €1, diamine che lo si spenda come si deve... Non sono stati i finanzieri a metterci 3 anni per capire come spendere 105 milioni di euro, mentre Pompei continua a crollare... E il Bondi a cui dare la colpa 1 è... nelle altre occasioni la colpa di chi era?
RispondiEliminaA me non dà fastidio che un generale venga chiamato a controllare che un'azienda non sia collusa con la Camorra (cosa che un archeologo non potrebbe mai fare e non deve fare).
Gli archeologi a livello manageriale non sanno gestire un piffero, basta vedere come gestiscono la cosa pubblica, come gestiscono gli scavi. Non possiamo sempre lamentarci che gli tagliano i fondi quando spesso e volentieri con i BB.CC. fanno quello che vogliono loro, senza rispetto alcuno per quelli che chiamano colleghi. Alla Soprintendenza di Roma i collaboratori non possono essere archeologi, ma solo architetti e ingegneri ce ne rendiamo conto? E dell'apertura della Barbera non s'è capito cosa ne sia stato fatto, visto che ogni volta che provo a compilare il questionario mi viene rispedito indietro... sarò impedito evidentemente...
Io voglio vedere quando cominceremo a dire le cose come stanno al Ministro Bray: oppure siccome è un ministro di sinistra in un governo di sinistra non gli si può dire nulla? Se ci fosse stato Bondi quante uova e barattoli di vernice avremmo già lanciato? Smettiamola di pensare che la cultura sia un fatto di colore politico, allora forse diventerà possibile ottenere quello che ci serve... Altrimenti saremmo sempre servi, ora del Barone di turno, ora dell'Ispettore di turno, ora del politico di turno... Servi a cui si promette un risultato (vi ricordate Ornaghi cosa disse alla sua prima conferenza stampa?), e ai quali dare poi €2 l'ora...
Smettiamola di parlare di massimi sistemi, le cose hanno un nome e un cognome, usiamolo se abbiamo il coraggio di farlo. Altrimenti, sono chiacchiere, come quelle che ci faremo l'11 gennaio e quelle che ci stiamo facendo da 20 anni a questa parte...
Addossare agli archeologi la responsabilità di un fallimento nazionale come quello di Pompei è quantomeno ingeneroso, se ne potrebbe discutere a lungo, ma forse tutto sommato è poco interessante e ci porterebbe lontano dal centro del problema.
RispondiEliminaNon si tratta certo infatti di contestare la nomina di Nistri, che, a ben leggere la stampa di questi ultimi giorni si capisce bene come sia stata una scelta forzata, scaturita da uno stallo insormontabile. Da un lato chi proponeva svariati nomi legati al mondo dei poteri economici (quelli grossi …), che avrebbero di fatto aperto le porte alla speculazione e dall’altro chi ha provato, in modo debole, ma assolutamente innovativo, a far passare il concetto che spettasse ad un archeologo (o un professionista della conservazione, diciamo in termini vaghi un esperto di dominio) occuparsi del rilancio di un sito archeologico. Da questo braccio di ferro è venuta fuori la candidatura di un nome di garanzia, a cui nessuno avrebbe potuto ragionevolmente opporsi. Con buona pace dei professionisti.
Resta il fatto che in questa occasione non si tratta di controllare le infiltrazioni camorristiche in un’azienda (cosa che le forze dell’ordine già fanno senza bisogno di leggi speciali) ma di gestire un progetto culturale, dato che Pompei è un sito archeologico prima che una risorsa da sfruttare. Allora, se non passa nemmeno in questa occasione il concetto che nei progetti culturali la direzione debba essere di un esperto, non possiamo protestare se neanche in Soprintendenza i collaboratori possono essere archeologi. In fin dei conti il problema di fondo rimane sempre il riconoscimento delle competenze dei professionisti dei bbcc. Che oggi, da Pompei, sembra un po’ più lontano.
Io poi, come tanti per fortuna, non lancio uova o barattoli di vernice, ma da questo piccolo angolo di coscienza ragiono liberamente e non risparmio commenti a nessuno, di nessun orientamento politico. Non mi interessa infatti etichettare governi o ministri, ma piuttosto evidenziare come la mancanza di riconoscimento professionale sia il vero ostacolo allo sviluppo di una cultura moderna e laica (e di una economia altrettanto moderna e laica) dei bbcc.
Bel commento, caro Giuliano. Complimenti. Sottoscrivo tutto!
RispondiEliminaIo invece credo che il centro del problema sia proprio quello. Come si può parlare di professionalità senza poi avere il coraggio di dire che alla Soprintendenza di Pompei, fino a qualche anno fa Speciale e unica, ci sono sempre stati archeologi al comando? Come si può parlare di professionalità se la difesa dai colleghi diventa l'italico ritornello de "le colpe sono sempre degli altri"? L'esercito di "esperti" che lavora a Pompei da 3 anni non riesce a decidere dove cominciare a spendere 105 milioni di euro: possibile che non esisteva una carta del rischio per cui io oggi ti dò 1 euro e tu domani lo spendi per mettere a posto quel pezzo? Oggi ti dò 1 euro e ci metti 3 anni per capire quale pezzo va sistemato prima?
RispondiEliminaLe competenze dei professionisti dei BBCC non esistono ex lege, esistono se loro dimostrano di saper fare, se hanno competenze verificabili sul campo: Ercolano 10 anni fa era un disastro di sito archeologico, sono arrivati gli americani e l'hanno reso uno specchio. Pompei 10 anni fa era un sito archeologico decoroso (forse), sono rimasti gli italiani e l'hanno reso un disastro. Però mi dici che è ingeneroso dare la colpa agli archeologi che l'hanno gestita e la gestiscono? E di chi sarebbe di grazia, dei magazzinieri o dei vigilanti? Allora poi non si può parlare di professionalità e di esperti se la categoria si difende a oltranza, invece di sbattere contro il muro coloro che sbagliano, coloro che agiscono per interessi propri, coloro che trattano la cosa pubblica come cosa personale, coloro che costruiscono feudi medievali attorno ai beni culturali, coloro che trasformano le università in baronie, etc. etc. etc.
Vogliamo il riconoscimento professionale? Benissimo: commissione mista nazionale-internazionale (senza personaggi provenienti dall'università!) che valuta le capacità delle persone su tematiche di ampio respiro come la conoscenza dei materiali, la capacità di rilievo, le competenze stratigrafiche, le capacità di documentazione cartacea e informatica, capacità di uso della strumentazione tecnologica, con prove pratiche e teoriche, capacità di decidere in real-time come intervenire in situazioni di emergenza. Punteggio minimo medio 7/10. Allora sei un professionista: combattere perché qualcuno lo stabilisca ex lege solo perché hai un pezzo di carta, equivale a prenderci per i fondelli.
Se devi chiamare un generale, è per sbloccare una situazione di stallo che non hanno certo creato i geometri o i giornalisti: quand'è che prenderemo la briga di verificare la documentazione prodotta dai migliaia di archeologi che lavorano nei cantieri ogni giorno? Gente che non sa disegnare, che non sa fotografare, che sbaglia a compilare una scheda US, che non riconosce i materiali, tanta gente che ogni giorno "documenta" e poi distrugge o seppellisce per sempre l'evidenza. Quante se ne vedono di queste persone? Che non mi ricordo io in scavo didattico gente della Scuola di Specializzazione che doveva prendere lezioni su come compilare una scheda US (per non parlare delle RA, delle USM e delle SAS)? E a queste persone vogliamo dare il riconoscimento professionale per legge? Fammi vedere che sai fare, poi vediamo se sei un professionista o se devi ancora studiare molto, molto tanto, molto moltissimo. Metteresti la tua vita in mano a un medico che è tale solo per un articolo di legge? No? E allora perché lo voglio fare con i BBCC?
Dire che il caso di Pompei allontana questo riconoscimento ma non per colpa degli archeologi che hanno governato male il sito negli ultimi 30 anni, è un volersi otturare gli occhi che non spinge verso la direzione contraria. Chi doveva gestire in questi anni? Chi doveva mantenere? Allora poi hanno ragione gli altri a spernacchiarci...
Se si vuole essere opinionisti in libertà di coscienza come sei, non si può poi essere parziali, o se vuoi non essere imparziali.
Loved reeading this thank you
RispondiElimina