mercoledì 4 dicembre 2013

Le piogge di Ranchipur

In questo momento il mio treno sta attraversando, in un silenzio surreale, campi inondati, fiumi esondati e territori devastati. Facile metafora di un paese allo sfascio, in cui quando piove si corre ad ascoltare la protezione civile, tanto che anche mio figlio di 4 anni sa dire senza errori "dissesto idrogeologico".



Inevitabilmente mi ricordo della brutta avventura che ho vissuto questa domenica, quando sono sopravvissuto ad una inondazione che ha invaso la superstrada su cui viaggiavo. Mentre mi districavo fra fango e detriti non ho potuto fare a meno di notare come la massa d'acqua -certo straordinaria- che veniva giù dai lati della strada non fosse minimamente assorbita dai canali di scolo, ostruiti da un vasto repertorio di oggetti di interesse archeologico che spaziava da antiche lavatrici a residui di ogni genere di attività umana. Per non parlare delle felci arboree svettanti dal fondo degli stessi canali, che ad un'analisi dendrocronologica avrebbero dimostrato non meno di una decina d'anni (risultando in fase con la costruzione della strada, databile da fonti documentarie appunto a qualche decennio fa). La disavventura si è poi felicemente conclusa quando abbiamo intercettato una coorte di vigiles che ci ha aiutato a farci arrivare sani e salvi a casa. Passato lo spavento, mentre guidavo su un tratto di strada ormai sicuro, mi sono accorto che quanto avevo appena vissuto era una perfetta metafora del nostro paese, ed anche del rapporto fra il paese stesso, il territorio ed il patrimonio culturale. Non sono forse la mancanza di manutenzione e l'incapacità di gestione le cause profonde di quanto avviene nel nostro territorio? Sarebbe bastata la manutenzione ad evitare l'inondazione della strada che percorrevo, così come sarebbe sufficiente una gestione capace per tenere sotto controllo i nostri siti archeologici e poterli valorizzare adeguatamente.

E invece ci si indigna con stupore ogni volta che il territorio reagisce, e ogni volta che a Pompei crolla un muro. E nell'indignazione dilagante c'è sempre qualcuno che tira fuori dal cilindro le soluzioni miracolose, i progetti faraonici e le gestioni straordinarie. D'altronde, in un paese in cui tutto è imprevedibile ed imprevisto, perché non dovrebbe essere così anche per la nostra archeologia? Non c'è da stupirsi quindi se questa vera e propria subcultura dell'emergenza non risparmia i nostri siti archeologici, che del territorio sono parte integrante. E drena in modo caotico e improduttivo un fiume (anche in piena) di risorse. Ci siamo completamente assuefatti ad accettare piani straordinari, interventi eccezionali e reclutamenti di volontari, come l'unica possibile arma per proteggere il nostro patrimonio, anche quando il vero nemico da temere non è la pioggia ma l'incuria. Dell'Italia intera.

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