martedì 14 maggio 2013

Accadde una notte

In questi giorni è nato un movimento spontaneo, si direbbe oggi 'dal basso', sulla spinta dell'indignazione che in molti ha suscitato l'intenzione del MiBAC di ricorrere ai volontari per l'organizzazione della prossima notte dei musei, prevista il prossimo 18 maggio. A far rabbia è stato soprattutto il metodo, quasi un reclutamento, con cui è stata avanzata l'idea, e la candida innocenza con cui è stata portata avanti e difesa. Sul web è dilagata la protesta, soprattutto su twitter e in risposta ad un "chiarimento" del sottosegretario Borletti, rilasciato però non su canali ufficiali, ma su una pagina del suo blog personale (seguite tutto su twitter: #no18maggio e sullo storify curato dall'Associazione Nazionale Archeologi).


E' evidente che questo episodio è stato solo una goccia, in un vaso però già colmo del malcontento e del dissenso di un grande numero di professionisti, soprattutto archeologi. Ed è altrettanto evidente che il problema non sono certo i volontari, ma il loro impatto in un settore in cui il lavoro è praticamente inesistente, a causa dell'incapacità di politica, amministrazioni e università di immaginare, prima ancora che realizzare, una qualunque strategia.
Il vero scandalo è infatti lo stato pietoso in cui versa il mondo della valorizzazione e della fruizione archeologica nel nostro paese, e il colposo disimpegno di tutti su questo tema, quasi che non sia un problema il fatto che tanti musei e tante aree (che qualcuno avrà pur scavato, vero?) non siano in grado di generare alcun tipo di ricchezza, ma rappresentino invece solo un costo, talmente insostenibile che non si può che fare appello ai volontari per tenerli aperti.


Che archeologia è infatti quella che da un lato si autodefinisce complessa, globale, sociale e pubblica e dall'altro continua a ignorare il disastro della tutela e della valorizzazione? E che senso ha dannarsi a insegnare nelle università un'idea meno romantica e più laica della nostra disciplina se poi la fruizione dell'archeologia è ancora ispirata ad una visione irenica ed edulcorata e al culto del Bello, del Sublime, dell'Antico? Nelle Università italiane si insegna che, belli e brutti, imponenti o frammentari che siano, tutti i segni del passato sono importanti. E abbiamo formato un esercito di professionisti perfettamente in grado di proteggerli, tutelarli, valorizzarli e raccontarli. Che però difficilmente troveranno un lavoro, perché nonostante anni di storicismo, cultura materiale e -da ultimo- tecnologia, le idee innovative non sono mai uscite dalla cerchia degli specialisti, e di conseguenza, non hanno contribuito a immaginare nuovi modelli di fruizione del patrimonio archeologico in cui le nuove competenze fossero davvero spendibili.
Finché i siti e i musei del nostro paese rimarranno dei villaggi-vacanze di lusso, dei non-luoghi in cui cogliere una mistica presenza della bellezza superiore dei tempi antichi, ci sarà sempre bisogno di volontari per tenerli aperti e nel contempo ai professionisti non sarà mai data la possibilità di vivere del proprio lavoro.

5 commenti:

  1. Voglio generalizzare, per cercare di capire, mi perdonerete alcune semplificazioni. Siamo ad un impasse, all'incomunicabilità. Due mondi che non si capiscono: la generazione (il termine non è anagrafico) dei professionisti iperpreparati (non parlo solo di archeologi, ma anche di storici dell'arte, esperti in museologia, architetti, tutte le professioni che ruotano attorno ai BBCC), che non riescono a dare sbocchi alle loro idee e capacità, e una generazione (di nuovo non anagrafica) dirigente (ministeriale, universitaria) che non ha più idee, si è fermata, si è arresa, che cerca soluzioni tappabuchi (vedi volontari), perché è svuotata di energie, stanca, invecchiata, senza ricambi. Non voglio dare colpe, ma fotografare, quella che a me sembra, la situazione: siamo allo stallo. Nulla si muove, tutto è bloccato. Non si riesce a fare politica culturale, tutt'al più, nei casi fortuanti, marketing. Il rischio è di perdere tutte e due le generazioni, stremate, e con esse il nostro patrimonio culturale. Troppo cupo? Aspetto smentite...

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  2. Io continuo a non capire come possa la ricerca e l'altra formazione ignorare il rischio enorme nascosto dietro il perdurare di questa situazione.
    Io formo figure inutili, che per campare faranno altro; nel frattempo mi lamento di non avere soldi per fare ricerca, ma quando la faccio, mi disinteresso di creare qualcosa di sostenibile. Il mondo della tutela nel frattempo annaspa a cercare di preservare, anche i danni che ho fatto; e risorse per la valorizzazione, vera, non ne avanzano mai. Non resta che organizzare manifestazioni sporadiche, chiedendo un aiuto all'esterno.
    E il cerchio, tristemente si chiude così. Ma non si tratta di un processo stabile, ma involutivo. Perché meno giovani vorranno seguire questa strada, gli insegnamenti si contrarranno, la circolazione delle idee nuove farà lo stesso, e la ricerca pure. La tutela continuerà ad involversi nei suoi meccanismi bizantini e non resteranno che i volontari.

    Hai ragione, Gabriele, serve una politica, culturale. Ma la politica vera è partecipazione, di tutte le visioni coinvolte e coinvolgibili. Qualcuno vede traccia di questo nel nostro paese oggi?

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  3. Mi permetto di avanzare una proposta. Tra tante lamentele almeno una ogni tanto non penso guasti la "narrazione".

    Ma avviare piccole iniziative concrete?
    Ad esempio: visto che anche nelle università si fa abbondante uso di volontariato (per la quale ci si indignia forse un po' poco), perché non chiedere a tutti questi soggetti pubblici e non di fare "ammenda" in qualche modo?
    Magari provando a dare in gestione ad un gruppo di studenti in via sperimentale un sito o un ala di un museo per il periodo estivo.

    La soprintendenza o il museo concedono le autorizzazioni e
    l'Università fa da garante.
    Agli studenti va la responsabilità della promozione e una percentuale degli introiti.

    Io sono sicuro che attraverso internet in generale e i vari calnali "social" nello specifico ci sia ampio margine di movimento. E anche solo partendo da semplici "guide turistiche" non è assolutamente più impensabile auto-finanziare qualche idea nuova.

    In quasi due anni passati spesso a collaborare con l'estero mi sono accorto di quanta gente vorrebbe venire in Italia a "vedere" e "toccare" la nostra storia.
    Un ex collega mi disse una volta di essere venuto nel "Bel Paese" con l'idea di un giro turistico che andasse oltre le solite tappe (Roma, Milano, ecc.).
    E'tornato in Canda deluso per aver visto poco e nulla.
    "Chiuso" o "inaccessibile", "inaccessibile" o "chiuso", "quale sito?".
    Sono le parole italiane che ha imparato più in fretta.
    Mi ha anche detto che lui non cercava "entertainment", non
    si aspettava affatto impianti ulra-mega-fantascientifici.
    Avere "una persona che apre un cancello e che ti spiega cosa stai vedendo" per lui non rappresenta il minimo, ma il necessario.

    Ed è la stessa cosa che mi ripete mio padre quando torna da una gita scolastica.

    Quante cose sarebbero possibili anche con poco?
    Il grosso ce lo mettono già siti e musei, quale altro settore ha un vantaggio simile?

    Io credo non siano tollerabili scuse da parte di nessuo per il perenne immobilismo in cui versa il mondo dei beni culturali.
    Come è evidente il motivo per il quale ogni iniziativa sulla carta così immediata si trasforma puntualmente e inevitabilmente in una scalata.

    L'Università dovrebbe uscire dalle sue stanza (quando c'è) e gli enti pubblici dialogare con l'esterno (quando ci sono e quando "sono in giornata").
    Poi naturalmente bisogna tener conto delle varie diatribe personali che bloccano ulteriormente qualsiasi iniziativa. A cui si aggiunge infine il bisogno di alimentare le carriere universitarie con manodopera gratuita o per lo più a basso costo.

    E capisco anche come diventi più facile lamentarsi discutendo dei massimi sistemi, le politiche, la politica e bla bla bla bla. che di fatto continuano a mantenere il discorso su argomentazioni inconsistenti e inconcludenti.

    Però almeno non discpiacetevi per gli studenti!
    Da ex studente di "Beni Culturali" lo chiedo per favore, suona come una terribile presa per i fondelli.
    Anzi no, è proprio una presa per il culo.

    Fabio Gagliardi

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  4. Proporre, suggerire, me lo dico sempre anche io, poi ci riesco pochissimo. Piccole iniziative ce ne sono tante in giro, le facciamo anche noi.
    Ma sono convinto che serva anche pensare in grande, e non per montarsi la testa, ma perché per come è adesso il mondo dei bbcc è assolutamente impenetrabile a qualsiasi forma di innovazione. E non parlo di tecnologie, ma di spazio per nuove idee, anche per quelle, semplici, anche banali, che suggerisci tu.
    Ma che sono, almeno dalle nostre parti, assolutamente impraticabili. Questo è il dramma, quotidiano, tanto semplice quanto crudele: in tanti luoghi del nostro paese il ‘campo’ dei bbcc è un campo minato, in cui prevale l’ostilità, non certo la collaborazione.
    L’unica speranza che vedo è continuare a formare professionisti, con nuove competenze e occhi bene aperti, persone che possano sbattere orgogliosamente la porta in faccia alle università che propongono i ‘contrattini’ e ai musei che reclutano volontari.
    Per fare questo ci vogliono enormi cambiamenti, che non sono in grado forse neanche di immaginare. Ma non credo di prendere in giro nessuno se, in coerenza con quanto faccio ogni giorno nel mio lavoro, mi assumo a volte il ruolo del rompiscatole. Ruolo che in fondo, se non avessi una coscienza che mi fa ritenere comunque un privilegiato, potrei tranquillamente ignorare.

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  5. Si ma non capisco perché non cominciare ad affrontare i problemi.

    - Una buona parte di siti archeologici sono scavati dalle Università e ne hanno accesso.
    - C'è una quantità considerevole di persone che non vede l'ora di visitare questi posti.
    - Ci sono tanti studenti e neo-laurati che vorrebbero occuparsene.

    E'una conoscenza a tre che viene in qualche modo impedita?

    Bene, occupate i siti archeologici.
    Portate le attività in quei luoghi, con laboratori ed esposizioni.
    Portate conoscenti, amici e amici di amici, la stampa, i media.
    Facebook servirà a qualcosa di più che far sapere al mondo come avete fatto colazione.
    Fatevi vedere e conoscere e fate capire perché è importante il vostro lavoro.

    A quanto vedo sulla rete si riesce a far fronte comune, perché non tentare di far pressione attraverso
    iniziative del genere?

    E'vero che non ci sono soldi per imbastire progetti ambiziosi, però ci sono altre risorse e sono tante. In un periodo come questo si dovrebbe aver voglia di prendere quello che si ha e cominciare a fare qualcosa, non mettersi in un angolo e aspettare.

    Fabio Gagliardi.

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