lunedì 25 marzo 2013

Sentieri selvaggi


Qualche giorno fa sono iniziate le lezioni di archeologia digitale. Anche quest'anno gli studenti dei corsi di laurea in beni culturali e in archeologia partecipano ad un percorso formativo che si dipanerà fra linguaggi, tecnologie e creatività per l'archeologia e i beni culturali.

Lo dico da subito, a scanso di equivoci: le mie lezioni non hanno la pretesa di formare professionisti della comunicazione, né tantomeno tecnici dell'informatica per i beni culturali. Non credo infatti nella possibilità di formare, nei nostri corsi di laurea in beni culturali come sono strutturati oggi, specialisti della produzione di contenuti digitali (se ne è già parlato molto nelle discussioni a molti post di qualche tempo fa), né credo nell'illusione di una informatica 'speciale' per i beni culturali.
Ciò in cui credo fortemente - e su cui cerco di lavorare - è invece la possibilità di aprire nuovi spazi professionali (fornire possibili sbocchi per la mitica 'strada senza uscita'?) per gli studenti, valorizzando le loro competenze in una prospettiva che non sia solo la ricerca in senso stretto o il cantiere.

Per il futuro del nostro settore ci sarebbe bisogno di tante cose, non c'è dubbio: in ordine sparso e senza alcuna pretesa di completezza, servirebbe una visione seria e moderna (per non dire industriale) della cultura, nuove leggi, nuove regole, nuove prospettive professionali.
Ma anche una nuova formazione.
Come si declinano infatti dal punto di vista della formazione le traboccanti e legittime aspettative di rinnovamento dell'archeologia che ormai nessuno può fingere di ignorare?
Il discorso rischia di essere infinito ... Non propongo soluzioni o ricette; penso solo che, almeno dal mio punto di vista, sarebbe fondamentale inserire altre discipline nei corsi di studio, e non parlo necessariamente di scienze e tecnologie. Non farebbe certo male insegnare -seriamente- progettazione e management, e sarebbe il caso di trovare un ruolo serio per la legislazione. Ma anche per l'informatica, ridotta in molti casi a merce di scambio con le famigerate patenti europee.
Mi sembra purtroppo che invece la direzione delle 'riforme' di questi anni sia esattamente opposta, e preveda un lento rientro di archeologia &co. nei ranghi delle discipline umanistiche classiche. Non mi stupirei se presto, in molte Università italiane, l'archeologia tornasse a nascondersi in un 'orientamento' di un 'piano di studio', all'interno di un 'corso di laurea', con buona pace di un decennio di corsi in beni culturali e di un cinquantennio di riflessioni metodologiche e rivoluzioni tecnologiche.

Nel nostro limitato campo di azione (in laboratorio ci sono io, i soliti collaboratori, una dozzina di studenti e qualche appassionato che ha aderito all'invito ...) cerchiamo di dare il nostro contributo perché la formazione degli archeologi si arricchisca di altri contenuti, inoltrandoci, sempre in simbiosi fra ricerca e apprendimento, su sentieri poco percorsi. Da un lato stimoliamo gli studenti a immaginare e progettare contenuti e applicazioni culturali facendo leva sulle tante nozioni acquisite nella loro carriera universitaria; dall'altro li accompagniamo a conoscere le tecnologie di produzione e di fruizione e a farli interagire direttamente con esse. Passando ore in laboratorio, a imparare ma anche a "smanettare", ci si rende presto conto di cosa è possibile chiedere alle tecnologie, a quali costi, con quali limiti.
In questo modo speriamo di far sì che gli archeologi imparino ad utilizzare la propria conoscenza scientifica anche come presupposto per la creatività, secondo un binomio abbastanza raro nel mondo della produzione dei contenuti digitali per i beni culturali. Non si tratta di aggiungere strumenti innovativi alla 'borsa degli attrezzi' dell'archeologo, ma piuttosto di coniugare conoscenza, competenze e creatività come fondamenti della sua professione.

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Se siete interessati a seguire l'andamento del corso, seguite le news del LAD (tag: didattica).

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