giovedì 9 maggio 2013

Il pane e le rose

Oggi scrivo di getto, disgustato dall'ennesima provocazione che quanti lavorano nei Beni Culturali devono subire. Il riferimento è ovviamente alla recente polemica sulla richiesta di volontari per la prossima Notte dei Musei (trovate qui, nel blog Professione Archeologo, una bella sintesi dell'argomento e tutti i link necessari a ricostruire la vicenda). Ora, non voglio tornare su un problema che abbiamo già affrontato mesi fa, in occasione del rilascio della Magna Charta del Volontariato per i Beni Culturali; ma questa ennesima beffa mi sembra, al di là della gratuita umiliazione dei professionisti, l'ennesima conferma di una totale incapacità del mondo della politica e dell'amministrazione pubblica, ma anche della cosiddetta società civile.

Eppure non ci vuole molto a capire che per un museo che apre una sera ce ne sono cento che non apriranno mai. E per ogni volontario che darà, in tutta onestà, il suo contributo, ci saranno cento professionisti che il giorno dopo si alzeranno per andare a seguire una ruspa, a litigare con un capocantiere, a o a studiare per continuare a specializzarsi in vista di un futuro inesistente. Oggi infatti gli archeologi professionisti sono dei forzati dei lavori pubblici, impiegati in mansioni ordinarie per tirare a campare. Riusciremo mai a fare dell'archeologia un mestiere vero? A lanciarci davvero nella valorizzazione?
Per una volta, però, non pensiamo alla valorizzazione del nostro patrimonio materiale, su cui si continuano a dire sciocchezze e ovvietà, ma a quella dell'immenso patrimonio delle conoscenze, delle competenze, delle capacità dei nostri professionisti. Questo, sì, un immenso patrimonio in pericolo.
Il vero rischio della metafora petrolifera del patrimonio, che si utilizza sempre quando si parla di economia dei Beni Culturali, non è infatti solo il riferimento ad una metafora intellettualmente disgustosa che evoca immagini di un paesaggio violentato e inquinato, ma è piuttosto l'idea malsana di un'economia fondata sullo sfruttamento dei tanti per il beneficio dei pochi.
Ed è per questo motivo che il discorso sul volontariato è delicatissimo, perché tutti noi professionisti possiamo essere additati come fossimo cecchini che sparano sulla croce rossa. E' evidente, fin troppo, che fra le tante risorse da sfruttare ci siamo anche noi. Mortificando la ricerca, la formazione, la professione. Si crea un terreno perfetto per far nascere un'economia schiavistica di operatori poco specializzati e a basso prezzo.

Ora è tardi, vado a lezione, a formare altri specialisti che non troveranno mai un lavoro. Se e perché valga la pena farlo, francamente, oggi ho timore di domandarmelo.

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5 commenti:

  1. Questa ennesima beffa non 'sembra' la conferma, lo è. Senza dubbio alcuno è la conferma di un'incapacità generale e totale su tutti i livelli (politico, istituzionale e sociale).
    Il patrimonio di capacità è ad un passo dall'essere perso per sempre; già di per sé è fragile, delicato e impalpabile, messo nello sciagurato tritacarne attuale potrebbe non esistere più.
    La metafora petrolifera continua ad essere brutalmente utilizzata sia perché è il vero modo in cui vengono visti i beni culturali da chi la pronuncia e la utilizza, sia perché è vera. E' vera perché ad oggi l'economia dei beni culturali è fondata sullo sfruttamento di tanti per il beneficio di pochi. E non importa se un "blocco generazionale" discretamente consapevole prova a porre le basi e le condizioni per evitare lo sfruttamento, ci saranno sempre "le nuove leve" che si piegheranno a qualsiasi tariffa e a qualsiasi condizione.
    Ma - come mi ha invitato più volte a riflettere Simone - non è con un'imposizione tariffaria che si risolve il problema, bensì con procedure di affidamento trasparenti, con standard qualitativi elevati e con controlli costanti da parte degli organi preposti. Servirebbe dunque una profonda riforma del sistema partendo dall'alto, da coloro che i beni culturali dovrebbero gestirli, tutelarli e valorizzarli al meglio. Se non cambia niente lì, qui giù continueremo sempre a muoverci in una landa sterminata di sabbie mobili in cui più proviamo a camminare e più affondiamo.
    Oggi è meglio se quella domanda non te la fai, Giuliano. Lasciala decantare una notte. Forse - ma dico forse - domani potrai fartela. [Ale]

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  2. Non è che il giorno dopo le cose mi sembrino molto diverse ... Hai profondamente ragione, la metafora petrolifera non è un rischio, è una realtà. Come definire altrimenti il panorama descritto da Report domenica scorsa, in cui grandi aziende legate ai poteri forti si spartiscono la valorizzazione del patrimonio? Per questo non credo assolutamente in una riforma dall'alto, ma nella crescita di un movimento dalla direzione opposta. Da parte di chi sa benissimo che il lavoro nei bbcc per esempio non ha nulla a che vedere neanche con la melensa difesa del bello, metafora che inizia a dilagare ancora più del petrolio, perché più presentabile.
    Le rose che vogliamo non sono infatti quelle virtuali della cultura ma quelle di un lavoro che sia il dignitoso riconoscimento di una formazione spesa con tanta serietà e con enorme passione.

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  3. Sarà un caso ...
    http://o.contactlab.it/ov/2003575/52/CqnKEe4%2F%2FCNr4NkkUeOfeY46bfakX8yXP51x8CT%2BBXnwErlh5xjjgiwk69bcSxsp

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  4. Decisamente inquietante! °__°
    Titolo del post, riferimento nel commento e iniziativa FAI "dona una rosa virtuale alla tua mamma"...sa di grottesco, oltre al danno la beffa!
    Ps: anche io non credo ad una riforma dall'alto semplicemente perché non avverrà mai. Ho detto e pensato che servirebbe, che sarebbe bello se accadesse, ma che purtroppo non accadrà 'naturalmente', diciamo così.
    Anche io credo in una spinta dal basso, ma che non rimanga "nel basso", che riesca a risalire la piramide e come un'alta marea riesca a passare sotto le porte e dentro le fessure dei palazzi istituzionali (oddio sembro Grillo!). Oggi sono un po' confuso anche io, spero di essermi spiegato.

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  5. La rosa del FAI, l'unica che sboccia per proteggere l'arte, la natura e il paesaggio del nostro Paese. Come se il FAI fosse l'unica associazione in grado di porteggere la cultura e l'ambiente nel nostro paese. Di tutte le persone iscritte al FAI che conosco e non sono poche, ne salvo una soltanto.
    Ma come si comporta, in Inghilterra, il National Trust?
    Caterina Ottomano

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