mercoledì 31 luglio 2013

Una giornata particolare

Venerdì 26 luglio si è svolta la terza edizione del Day of Archaeology. Sono stati tantissimi (322) i contributi all'evento, provenienti da ogni parte del mondo.

Ad un rapido conto sono pochissimi quelli italiani. E non è un bel segno. Dimostra, da un punto di vista inusuale, lo stato di malessere dell'archeologia italiana, che abbiamo a lungo discusso nei post di Passato e Futuro. 
Mi sembra di sentire i commenti:



il distratto sognatore:
"Certo mi avrebbe fatto piacere scrivere qualcosa, ma ...";
il tradizionalista (tecnologicamente analfabeta):
"bello, ma come si fa a partecipare? Io con queste cose di internet non ho confidenza ...";
il duro e puro:
"Non ho certo tempo per partecipare a queste stupidaggini".

E' vero, ognuno cerca di gestire il proprio tempo al meglio, ma sarebbe ora di capire che comunicare, e divulgare, costituisce una parte imprescindibile del proprio lavoro, non un'attività collaterale da realizzare se e quando si ha tempo per farlo. Un'archeologia offline, lontana dal resto del mondo e isolata dalla società, rischia facilmente di tornare ad essere un gioco erudito per pochi eletti o per annoiate signore dell'alta borghesia. E di diventare sempre più insostenibile: persa nelle sue liturgie incomprensibili, nelle sue specializzazioni sempre più esoteriche, nei problemi di una professione mancata, nei meccanismi arcaici della gestione. Ma soprattutto lontana dal suo pubblico.

Il 26 luglio, attraverso l'affastellarsi di racconti seri, divertenti e spensierati, l'archeologia ha aperto le porte alla società, e grazie a internet e social network, è diventata, almeno per un giorno, veramente e profondamente globale.


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