giovedì 18 dicembre 2014

Dieci piccoli indiani

E' notizia di ieri che il Senato Accademico della mia Università ha deliberato la chiusura del corso di laurea magistrale in Archeologia.
Motivazione: numero di studenti inferiori ai requisiti ministeriali: 9 su 10 ...
In realtà nessuno sa realmente quanti fossero, e il dubbio
rimane, visto che neanche gli uffici della stessa Università concordano sul dato: chi dice 8, chi dice 9, chi dice 10. Ma ovviamente non è questo il punto. 
Colpisce la freddezza delle cifre, il sentirsi ingabbiati in un meccanismo preciso e ineluttabile: 

if n >=10
then goto next year

Siamo commissariati da un foglio di Excel, che per sua natura non è in grado di calcolare che, in un panorama nazionale in forte contrazione e soprattutto in una provincia come quella di Foggia, 10 (pardon, 9!) iscritti sono un miracolo, non un problema. Sono un presidio, e non parlo della Cultura o della Civiltà o di altri paroloni con la lettera maiuscola. Parlo di di un presidio di normalità. Una normalità in cui sia lecito discutere ed entrare nel merito delle cose senza fermarsi alle cifre, in cui sia possibile prendere una decisione alla maniera degli uomini e non delle macchine, in cui ci siano più parole e meno algoritmi.
Ieri, nella mia Università, ha invece prevalso il silenzio. L'uomo, di fronte alle cifre, non ha trovato niente da dire.

Quanto è successo ieri non è un piccolo fatto di cronaca provinciale, ma una spia che ci avvisa che sta giungendo ad un drammatico compimento in Italia un processo iniziato ormai 15 anni fa quando, per la prima volta nel nostro paese, venne offerta alle Università italiane la possibilità di istituire dei corsi di laurea in beni culturali e affini. Oggi, il futuro dell'archeologia è tornato ad essere quello di quando mi iscrissi all'Università nel 1990: un curriculum di Lettere Classiche, o, tradotto nel burocratese corrente, probabilmente qualcosa tipo "un percorso interclasse" o roba simile. Con buona pace della fase delle tecnologie, delle scienze applicate, dell'archeologia virtuale e di quella globale. Peccato solo che in questa lunga e lenta virata a 360° siano rimasti stritolati in tanti. Soprattutto quelli che ci hanno creduto: docenti, studenti, mancati professionisti. Perché tornare al punto di partenza dopo 15 anni non è un fatto normale, ma una bruciante sconfitta. Siamo tutti colpevoli: le università, i ministeri, l'intero sistema paese.

Ieri ha chiuso una fabbrica. Una piccola fabbrica di provincia specializzata in un prodotto che non interessa al mercato, semplicemente perché il mercato non esiste, o è sostanzialmente delocalizzato: all'estero, o nel magico mondo del volontariato. E per ogni fabbrica che chiude, siamo tutti a soffrirne, se ne rendano conto quanti ne hanno causato la chiusura, quanti non la hanno difesa, quanti hanno voluto vederci una nemesi.
In queste ore, come è giusto che sia, siamo nel momento della disperazione, della partecipazione e della solidarietà (e si vergognassero quanti gridano alla strumentalizzazione, ci lasciassero soffrire in pace!). Presto però dovremo pensare a cosa fare. E io credo che le prospettive che ci si aprono sono sostanzialmente due: chiedere la cassaintegrazione o ristrutturare. A ciascuno di noi, a Foggia come nel resto d'Italia, sta la scelta fra vivacchiare seminascosti in una posizione sempre più asfittica oppure rilanciare.
Come?
Ad esempio sostituendo, nelle nostre fabbriche, alla vecchia linea di produzione di ricercatori quella di professionisti, interessandoci meno all'acquisizione di dati o alla sistematizzazione del nostro dominio di conoscenza e invece insegnando sempre di più a saper fare oltre che a sapere.
E alzando la voce nella Politica e nella Società (sarà per mia indole o formazione, ma queste parole continuo a scriverle con la maiuscola), preferendo alle sterili questioni di stampo culturale obiettivi più importanti, come la rivendicazione dei diritti dei lavoratori e dei professionisti dei beni culturali.

Forse non lo sapete, ma dieci piccoli indiani non è il titolo ufficiale del romanzo di Agatha Christie, né delle riduzioni cinematografiche. L'autrice stessa preferiva il titolo dato alla prima edizione americana: 
... e poi non ne rimase nessuno.

PS: per rimanere aggiornati, seguite su fb archeologia e storia unifg

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