giovedì 27 settembre 2012

Editoriale. Perché questo spazio

Non è certo una novità parlare di Beni Culturali e di tecnologie. 



Perché allora questo spazio?


L'idea di scrivere su questo argomento ha principiato a stuzzicare la mia immaginazione negli ultimi mesi, a conclusione dei miei corsi universitari di questo ultimo anno accademico: l'esperienza didattica di questi anni è stata infatti molto intensa e fortemente connessa all'attività di ricerca. L'unico risultato positivo della contrazione delle iscrizioni è stato poter fare lezione ad un numero limitato di studenti, e sperimentare così una didattica più intensamente orientata all'esercitazione di laboratorio.
Anche questo anno, attraverso il loro interesse e la loro partecipazione ai corsi, gli studenti che ho incontrato hanno dimostrato le potenzialità che esistono per la loro generazione e  manifestato in modo evidente la necessità di essere orientati e accompagnati verso un futuro professionale quanto mai incerto...
mettendo così in evidenza in tutta la sua brutale semplicità come il mondo accademico non faccia nulla per innescare un vero processo di crescita, e per creare occupazione nel nostro settore.



I veri "colpevoli" dell'idea di questo mio progetto sono dunque le tante persone che mostrano interesse verso il settore della tecnologie applicate ai Beni Culturali e all'archeologia in particolare, a cominciare dai giovani, studenti, laureandi, specializzandi e appassionati che in questo particolare settore di approccio al passato ripongono molte speranze per il loro futuro
A loro è dedicata l'idea di costruire questo spazio di riflessione, nella prospettiva di fornire materiale utile a iniziare una discussione proficua, anche in maniera ironica e provocatoria. Inutile ribadire che la responsabilità di quello che scriverò rimarrà invece sempre e soltanto mia.


Il motivo che mi spinge ad intraprendere questa impresa è la convinzione, che ormai mi accompagna quotidianamente e ostinatamente nella mia professione di ricercatore, che l'unica vera prospettiva di sviluppo del settore dei Beni Culturali sia racchiusa nella speranza di poter costruire un percorso virtuoso in cui trovino spazio le grandi competenze dei giovani, e in cui nessuno debba più essere mortificato dalla distanza fra le proprie capacità e il lavoro. 

A questo risultato si arriva solo in un'ottica di collaborazione in cui tutti gli attori siano consapevoli di fare parte di un sistema complesso e articolato e riconoscano i limiti del proprio campo di azione, pur partecipando attivamente al processo nella sua interezza. 
Solo in questo modo le mille competenze specialistiche, i mille saperi e i mille metodi che ciascuno di noi possiede potranno essere la base per far sviluppare in maniera adeguata quell'economia di settore che ancora non esiste.


Avremo modo di riparlarne presto.

3 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  2. Ti inauguro il blog.
    Riprendo una frase dal precedente post che penso possa esser presa come punto di partenza per rispondere a quest'ultimo.

    "Quello della comunicazione, della fruizione e delle tecnologie che la permettono è infatti un mondo completamente trascurato nella formazione universitaria che invece dovrebbe aggiornarsi, nei piani di studio.."


    Quello della comunicazione, delle tecnologie, sono mondi abbondantemente coperti tanto da università che da corsi professionali ad essi pertinenti.
    Sono lavori, non hobby.
    Soprattutto nelle nuove tecnologie il livello di specializzazione diventa ogni giorno sempre più vario e particolareggiato.
    E' ciò che richiede il mondo del lavoro: professionisti competenti e specializzati.
    Improvvisarsi in settori dove le curve di apprendimento sono così lunghe, determinate e determinanti, non porta molto lontano. Di sicuro porta direttamente fuori dal mondo del lavoro.

    A mio avviso la sola interfaccia possibile tra archeologia e nuove tecnologie sta nei contenuti.
    Ed è qui che il settore è rimasto tremendamente indietro.
    Come un po' tutto il settore umanistico del resto.
    E dire che mi capita spesso di leggere richieste di professionisti dal settore umanistico per la produzione di contenuti. Si va dalle posizioni aperte da Google qualche tempo fa, fino agli studi dell'industria dell'itrattenimento.
    Ma forse per un mondo abituato a vedersi solo tra pubblicazioni e convegni di settore sarebbe uno shok scendere nel mondo reale e conforntarsi.

    Già, "confrontarsi", forse sarebbe il caso di mettere un attimo la testa fuori e imparare a dialogare con altri settori, altri professionisti. E magari col tempo riuscirete a farvi conoscere un po' anche dalla "gente comune", quella che sta fuori dalle accademie, dalle univerità e che magari aspetta anche, curiosa, di conoscere qualche antica novità.

    Questo per dire che, a mio avviso, il futuro dell'archeologia sono i bravi archeologi che sanno praticarla e che soprattutto sanno comunicarla e farla comprendere.

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    1. Concordo! Ovviamente la formazione "distratta" cui mi riferisco è quella umanistica. Se la formazione umanistica ragionasse più in termini di sbocchi professionali, forse vedrebbe più chiaramente tante cose, anche quell'industria che citi, che secondo me è uno degli interlocutori con cui avviare un dialogo per creare professionalità ed occupazione. Sui contenuti, sui linguaggi, sulle idee. In questi anni ho visto tanti studenti ricchi, di immaginazione e capacità di raccontare, costretti a mortificare le proprie capacità e le proprie competenze.

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