lunedì 15 aprile 2013

Il giorno più lungo

Le mie considerazioni a margine dell'incontro L'archeologia di tutti i giorni (Foggia 15 aprile 2013). E rischia di essere una summa dei post di P&F. Quindi il vantaggio è che leggendo un solo post ve li siete letti tutti ;-).

Proviamo a partire dall'inizio: cerchiamo una definizione di archeologia. Giusto un giro sul web, niente di scientifico. Troviamo varie definizioni, in cui ritornano più volte grosso modo gli stessi termini.


Quindi l'archeologia è:
- un modo di leggere il passato …
- lo studio delle popolazioni del passato …
- l'insieme di pratiche di ricerca …

oppure per negazione: l'archeologia non è:
una caccia al tesoro, ma una ricerca appassionante di indizi ...

la mia preferita:
la ricerca dei fatti, non della verità. Se vi interessa la verità, l'aula di filosofia è in fondo al corridoio ...

per gli appassionati veri:
il maggior divertimento possibile con i pantaloni indosso ...

la più recente:
globale, ovvero l'insieme delle pratiche di ricerca messe in atto per lo studio complessivo delle testimonianze materiali del passato ...

- - - -

La mia non è certo un'indagine esaustiva, ma mi basta per mettere in evidenza quanto sia difficile trovare in letteratura accenni espliciti ad una professione quando si definisce l'archeologia. Non voglio farne una colpa a nessuno, semplicemente prendere atto che l'archeologia di oggi, anche nella sua definizione più vasta e inclusiva, quella globale appunto, sembra il riflesso di una stagione ormai tramontata.
Al di là della crescente consapevolezza della sua missione, su cui si hanno le idee decisamente più chiare, mi sembra infatti che la stessa rivoluzione metodologica innescata dall'avvento della stratigrafia e maturata nelle 'tante archeologie' rimarrà assolutamente incompiuta fino a quando non sarà in grado di produrre un mercato del lavoro che la rispecchi.
Chi dovrebbe scavare le big areas? Chi dovrebbe realizzare le ricognizioni? Chi dovrebbe studiare i reperti?
Non è possibile pensare ad un'archeologia scientifica senza una professione di archeologo, dignitosa ed indipendente. L'archeologia potrà fregiarsi del titolo di "globale" solo quando saprà dotarsi, oltre che di uno statuto scientifico aggiornato, anche di processi chiari ed efficienti e di ruoli ben definiti.

E' quindi evidente la necessità di correggere la rotta prima di andare avanti, e pensare a definire la nostra disciplina non solo alla luce delle sue peculiarità scientifiche e tecniche o delle sue prerogative culturali, ma anche e soprattutto delle istanze professionali. Riconoscendo un ruolo civile al proprio mestiere che vada oltre la ricostruzione del passato e della memoria, per quanto sempre più fine e precisa, per puntare direttamente allo sviluppo, all'occupazione e alla creazione di un'industria culturale.

In questa prospettiva è la formazione a rivestire un ruolo fondamentale. Se si accetta che l'archeologia sia innanzitutto una professione (ed è un passaggio culturale difficilissimo in un paese ancora imbevuto di idealismo almeno in tutto ciò che riguarda il patrimonio culturale) allora non si può fare a meno di rinnovare la didattica, inserendo, accanto alla rigorosa formazione sul dominio di conoscenza e le metodologie di ricerca, anche altre strategie di apprendimento orientate al saper fare. Magari prevedendo forme di reale affiancamento ai professionisti, in percorsi di stage e tirocinio che non siano solo le ireniche esperienze dei cantieri didattici. Altrimenti avviare i nostri studenti su un percorso professionale sarà come far sbarcare a Omaha beach un reparto di boy scout.





3 commenti:

  1. La necessità del superamento di un idealismo, usato peraltro spesso in modo strumentale e ipocrita, mi sembra al contempo il nocciolo e la più lucida ed onesta soluzione del problema sentita ultimamente. Da cercare a tutti livelli, da quello legislativo alla pragmatica quotidiana. Credo che la teorica tutela assoluta del patrimonio in ogni sua forma, nonché il riflesso di tale concezione nell'archeologia, almeno secondo il modello degli ultimi 20 anni alla fine riescano a tutelare, valorizzare e restituire ai cittadini veramente poco. Sia a livello culturale che economico. Il coraggio di guardarsi allo specchio e non riconoscersi. Il coraggio di non sentirsi animali in via di estinzione tutelati come il panda. La volontà di proporre e fare cose mettendoci la faccia a rischiando di sbattere la testa. Questo, credo che, singolarmente serva. Paola Romi

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  2. Sono pienamente d'accordo.
    Piuttosto che andare avanti a testa bassa, ponendoci le domande sbagliate o, ancora peggio, senza farcene affatto di domande, dobbiamo capire cosa facciamo, chi siamo ora e chi vogliamo essere domani.
    L'esistenza di 'tante' archeologie solo sulla carta ma non 'nel mondo reale' è un chiaro segno che qualcosa non è andato per il verso giusto. Che c'è stato uno scollamento che non vorremmo che diventasse crepa, poi frattura e infine che generi una frana.
    No, grazie...ne stiamo vivendo già troppe di frane.
    Il passaggio che eleggerei a "manifesto" è: "Non è possibile pensare ad un'archeologia scientifica senza una professione di archeologo, dignitosa ed indipendente. L'archeologia potrà fregiarsi del titolo di "globale" solo quando saprà dotarsi, oltre che di uno statuto scientifico aggiornato, anche di processi chiari ed efficienti e di ruoli ben definiti."
    Certamente la formazione deve svolgere un ruolo decisivo in questo processo di 'ri-nascita consapevole' della disciplina. Continuare a far partire corsi di archeologia che non contemplino al loro interno ambiti disciplinari come la comunicazione o la didattica culturale significa non voler ascoltare le voci che provengono dal 'mondo reale' e che bussano alle porte delle aule universitarie sempre più insistentemente.
    Come dice Paola nel commento precedente: "Il coraggio di guardarsi allo specchio e non riconoscersi. Il coraggio di non sentirsi animali in via di estinzione tutelati come il panda. La volontà di proporre e fare cose mettendoci la faccia a rischiando di sbattere la testa."
    Io comincio a provarci: http://leparoleinarcheologia.wordpress.com/2013/04/15/archeologia-e-contaminazione-una-via-duscita/

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  3. Grazie, addirittura un manifesto ...
    Però in effetti "globale" è un termine che richiederebbe un punto di vista decisamente più vasto, e non solo un approccio che, per quanto ampio, si può riportare ad una matrice positivista (quasi una reazione estrema ad un idealismo che, nella dimensione scientifica, è ormai superato).
    Non ci vedo nulla di globale in una disciplina che ignora sistematicamente di prendere in considerazione la necessità di pensare allo sviluppo ed al lavoro e che nel frattempo si regge sul volontariato fino al punto di regolamentarlo!

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