martedì 19 novembre 2013

Gli spostati (3)



Nei post precedenti ho volutamente tralasciato un interrogativo che a questo punto assume il ruolo di un classico last but not least:

- Perché si delega a corsi di 'applicazioni' l'apprendimento di strumenti come il GIS, il CAD &Co. ?


La formazione universitaria in archeologia è oggi orientata in modo praticamente esclusivo a creare dei (potenziali) ricercatori. Anche le modifiche apportate nel recente passato, con la nascita dei corsi di laurea in bbcc, sono state poco lungimiranti (vi ricordate strada senza uscita?): si è provato a modificare un quadro sostanzialmente immutato da decenni, ma in un modo che si è rivelato presto inadatto.
Se da un lato si sono inseriti nei piani di studio sacrosanti insegnamenti di metodologia, dall'altro, in modo un po' meno ragionato, si è lasciata proliferare una serie di insegnamenti in minore, le famose "applicazioni", attraverso cui tecnologie, scienze & Co. hanno fatto il loro debutto nel blasonato consesso delle discipline universitarie.
Ad essi è stato affidato l'apprendimento di quelli strumenti tecnici che da pur essendo parte integrante della 'cassetta degli attrezzi' dell'archeologo, non sono ancora pienamente accettati nella Metodologia: strumenti esaltati spesso per ratificare la (presunta) maturità scientifica dell'archeologia, senza però che nessuno si sia mai fermato a ragionare su quanto avrebbero potuto contribuire a creare competenze in qualche modo spendibili sul mercato del lavoro ...

Nel grande fermento che in questi ultimi tempi sta caratterizzando il mondo dei professionisti dell'archeologia credo sia assolutamente urgente inserire anche la proposizione di un nuovo modello didattico. Per riconnettere l'archeologia delle università con il mondo della professione serve un modello che abbia il coraggio di affiancare alla componente storica e alla metodologia anche una cospicua componente tecnica: e se è necessario lavorare su legislazione, progettazione, divulgazione e sulle attività sul campo, allo stesso modo è necessario superare l'idea che siano un paio di insegnamenti di 'applicazioni' ad accollarsi l'onere di abbracciare un ventaglio di conoscenze e competenze che spazia dalla gestione dei dati alla loro analisi, dal rilievo alla ricostruzione.

Sono temi strategici, che meriterebbero ben altro spazio nei percorsi di formazione degli archeologi del domani; meriterebbero insegnamenti ad hoc e piani di studio in cui si insegni davvero a lavorare sulle idee e sulle macchine, e in cui la progressiva specializzazione non sia più intesa solo come una ripetizione (certo più approfondita) all'interno dello stesso dominio, ma piuttosto come un percorso verso competenze tecniche di primo livello.
Ma si sa, "tecnico" in Italiano non è una bella parola, porta con sé sempre un non so che di secondario e avvilente.

per chi si fosse perso la parte 1 e la parte 2



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