mercoledì 4 giugno 2014

Pulp fiction

Recuperare la realtà più banale in opposizione all'enfasi e all'idealismo [...]. Servirsi di un immaginario popolare [...]. Sottrarre gli oggetti all'invisibilità cui li condanna il loro uso e consumo per renderli completamente presenti ...
... leggevo queste parole qualche settimana in uno dei (pochi, per fortuna) pannelli che accompagnavano in modo discreto ed ineccepibile la visita ad una delle mostre più interessanti che ho avuto modo di visitare quest'anno.

"Perfetto. Ecco l'archeologia che ho sempre desiderato".
In realtà l'ho sempre pensato, ad esempio entrando nei tanti musei archeologici che orgogliosamente espongono oggetti modesti, e che spesso cedono alla tentazione di proporli come se fossero capolavori: isolati in vetrine enormi o affastellati in sequenze tanto abbondanti quanto insignificanti.

"E' il modo in cui vorrei raccontarla l'archeologia, e le parole che vorrei sentire quando visito un museo".
Quante volte ho desiderato sentir raccontare l'archeologia in una maniera diversa, più coraggiosa e meno epica, con uno stile più semplice e meno austero, capace di recuperare e trasformare in messaggio anche la realtà più banale di quelli che spesso sono oggetti semplici e quotidiani ...
La ricerca della straordinarietà non rende giustizia al fascino semplice e discreto dei tanti reperti esposti nei nostri musei: "oggetti di uso e consumo": non sono forse quelli che chiamiamo cultura materiale?

Ovviamente la mostra non aveva nulla a che fare né con l'archeologia né con l'antichità in generale. Era dedicata ad Andy Warhol. E il mio consiglio a tutti, archeologi e non, è: andateci.

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