mercoledì 5 dicembre 2012

Il gattopardo

In molti magari non saranno d'accordo: a me però sembra abbastanza evidente come il mondo dell'archeologia italiana non sia cambiato molto negli ultimi anni. In varie stagioni, con vari orientamenti, si sono salutati trionfali cambiamenti, grandi rivoluzioni, straordinarie aperture di orizzonte, il cui contributo ad una stagione veramente nuova è però tutto sommato limitato.
Non molto tempo fa ad esempio si è pensato di assistere ad un rinnovamento profondo con l'avvento delle tecnologie e delle 'soluzioni innovative' ma poi, tutto sommato, ci si è fermati, come davanti ad un giocattolo rotto. In questi ultimi anni ad esempio uno dei nuovi giocattoli sono i social network: d'altronde è inevitabile, ci gioca il mondo, e quindi anche gli archeologi. A condizione però che non si saluti l'avvento di una (presunta) dimensione 'sociale' dell'archeologia, se non nella sua lectio facilior di passaggio in rete di una mole crescente di esperienze fin ben oltre ai limiti del voyeurismo. Non è che se si è archeologi e si usa facebook si è per questo innovatori, tanto per intenderci. Sarebbe troppo facile. Piuttosto si è vittime di una fascinazione, come dice bene Stefano Costa in un bellissimo e recente post, che è la principale ispirazione di questa pagina. Fascinazione che domina un po' tutto il mondo delle tecnologie applicate all'archeologia.
Dal canto suo la componente scientifico-accademica che ancora è l'attore principale dello spettacolo dell'archeologia italiana (che non a caso spesso sembra un monologo ...), assume un atteggiamento, nei confronti di ogni innovazione, che varia dal sorriso paterno al disprezzo, avocando a sé la prerogativa di determinare le linee di sviluppo per il futuro. Troppo assorbita dalla sua marcia trionfale verso una ridefinizione sempre più globale e complessa del proprio orizzonte conoscitivo, l'Università finisce col disconoscere la grande apertura di orizzonti e l'umiltà di approccio che si era imposta in archeologia con il diffondersi di inedite collaborazioni con altri campi di ricerca agli albori della stagione del 'globale' (come ricorda bene ancora una volta Stefano Costa in un commento a questo post di P&F).

Ma allora dov'è l'innovazione in archeologia? 
Certo non è nell'applicazione di 'nuove' tecnologie a vecchie logiche, né nell'uso delle reti sociali. Soprattutto non è nella dimensione globale come è declinata oggi, concentrata sulla ricerca di possibili decodifiche di una complessità che però è principalmente orientata ad una prospettiva di incremento di conoscenza (e, più raramente purtroppo, di gestione e tutela del territorio).

In ognuna di queste visioni manca una visione profondamente nuova. Una bella novità, carica di speranze, è la crescita, anche nel nostro paese, di un movimento che si richiama alla public archaeology anglosassone, che ci si augura possa essere la chiave con cui aprire una nuova stagione di impegno civile sempre più ampio. E' da stimoli di questa natura, dalle sempre più numerose esperienze "dal basso" di blogger, associazioni e movimenti che arriveranno le vere novità: non certo dall'affastellarsi di Stati Generali e Adunanze che preludono a rivoluzioni nate già stanche e vecchie.

Un elemento è però evidente più di altri: non serve la tecnologia per innovare l'archeologia, perché innovare vuol dire anche altro:
vuol dire superare quel conservatorismo, profondamente e forse inaspettatamente radicato, che ha imposto un sostanziale mantenimento di uno status quo nella disciplina e nell'intero settore;
vuol dire pensare in un'ottica open, e capire finalmente per esempio che in incontri come i workshop di ArcheoFOSS (venite a Catania quest'anno?) non si parla solo di tecnologia, ma di futuro della condivisione (quella vera, non quella dei peep show digitali che di condiviso e partecipativo, a pensarci bene, decisamente non hanno molto);
vuol dire pensare nell'ottica di una professione, o di un mestiere, o di un impiego, o ancora una volta di un futuro, non solo per l'archeologia, ma soprattutto per gli archeologi;
vuol dire capire che se dobbiamo costruire un'economia di settore dobbiamo coinvolgere tutti gli attori interessati, le loro capacità e le loro competenze, ma soprattutto condividere le loro visioni.

Vuol dire in definitiva lavorare ad una archeologia (così: senza aggettivi, attributi, precisazioni o definizioni accessorie) che sia pienamente e convintamente sostenibile.

Se non vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che qualcosa cambi.





2 commenti:

  1. Come sempre post molto interessante e ricco di spunti, grazie!
    Mi ha colpito in particolare questa affermazione: "Ma allora dov'è l'innovazione in archeologia?
    Certo non è nell'applicazione di 'nuove' tecnologie a vecchie logiche, né nell'uso delle reti sociali."
    Sono una grande fan delle nuove tecnologie, ma troppe volte noto che vengono usate in modo acritico per ribadire il già detto e ridetto. Quello che sto imparando ogni giorno nello studio della public archaeology è la costante attenzione proprio al pubblico - e secondo me è proprio il pubblico l'attore che meriterebbe maggiore attenzione. La vera dimensione 'sociale' dell'archeologia, si avrà solo quando si riuscirà a dialogare in modo ancor più costruttivo col pubblico (anche se questo vorrà dire avere opinioni diverse su questo o quel dato archeologico) e a coinvolgerlo nella nostra passione per questa disciplina. Forse mi illudo, dicendo che questo sarà possibile solo quando l'archeologia imparerà a guardare anche al pubblico senza quel atteggiamento tra il sorriso paterno e il disprezzo; ma d'altronde sono convinta che un'archeologia sostenibile passi anche di qui (oltre che ovviamente per tutti i punti già citati nel post). Grazie ancora per il bel post!

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    1. condivido pienamente l'importanza di guardare al pubblico, e soprattutto di coinvolgerlo. Per ottenere questo risultato, lo dico da appassionato di archeologia e di tecnologie, non c'è da cercare la soluzione tecnologica 'definitiva', ma è importante invece guardare a cosa si vuole raccontare. E mi sembra che l'archeologia di oggi non abbia le idee molto chiare su questo ...

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