giovedì 27 marzo 2014

Una storia vera 2

Vietato fotografare, ovvero la socializzazione negata. Qui la prima parte

Pochi istanti dopo essere entrati in un museo archeologico, prima ancora di entrare in biglietteria, i visitatori già si trovano davanti il primo reperto: il divieto di fotografare.

Dopo la lunga cerimonia di "togli i cappotti-poggiali sul passeggino senza svegliare il piccolo-metti questo nella borsa-hai visto il mio telefonino?-non ti allontanare" la famiglia si compatta nella fila di ingresso e si trova davanti il famigerato cartello. Le reazioni sono le più diverse:


- il grande, con la sua piccola scatolina blu elettrico agilmente legata al polso, non capisce. Non può capire cosa sia quella strana icona che rappresenta un pesante parallelepipedo grigio ferro con qualche bozza sporgente, figuriamoci se deve capire perché non si può usare la sua fichissima meraviglia digitale pronta a sparacchiare in giro 4000 foto o giù di lì. Per rispetto mi chiede: "Ma non riguarda anche me vero? E' solo per i grandi, quelli con quei cosi enormi a tracolla no? (indicando una comitiva di giapponesi)".
Voi che cosa gli avreste risposto? Lui è abituato a fare così. Ogni cosa che vede, la fotografa (nella mia libreria di foto c'è una collezione di giocattoli, piedi e mani, oggetti di casa, lembi di paesaggio e altre cose sinceramente irriconoscibili, tutti rigorosamente sfocati). Non aspetta una risposta, fa spallucce e tira dritto. Io certo non lo fermo.
- Alla mamma non interessa, lei è già partita per la prima sala. Abilissima fotografa, non ama particolarmente riprendere oggetti e reperti, se non per lavoro: "molto meglio comprare una cartolina no?". Infatti. Non c'è dubbio.
- Il papà si ricorda improvvisamente di una visita di ormai tanti anni fa a Villa Adriana, deturpata da orridi fogli di carta appiccicati praticamente ovunque (anche sui muri, n.d.r.), che intimavano: "vietato fotografare" con il consueto codazzo di norme di legge scritte in lillipuziano corsivo. Fortunatamente, almeno stando all'ultima visita, non ci sono più. Rimane l'orrendo ricordo del muro del Pecile - la prima, folgorante vista sul sito - deturpato da una serie infinita di fogli bianchi. Rimangono anche alcune innocenti foto dell'album di casa: semplici autoscatti di famiglia, fatti in barba ad un divieto incomprensibile.
- Il piccolo, per fortuna, dorme beato.

Finché la prima cosa che si incontra in un museo sarà un cartello di divieto, quasi stessimo varcando i cancelli di un santuario o di una base militare, non ci potrà mai essere un rapporto vero e partecipato fra la cultura e il suo pubblico. Fotografare infatti non è più ormai solo un atto creativo, ma un gesto di socializzazione e condivisione che non è più possibile proibire in un paese moderno; lo ricordano a tutti le migliaia di tweet di questa intensa #museumweek, che portano in giro per il mondo in un istante innumerevoli immagini dai musei, splendide nella loro vitalità.
Questa enorme partecipazione di pubblico e professionisti è nei fatti una vera campagna di disobbedienza civile nei confronti di un divieto così imbarazzante.
Posso esprimere un desiderio?
Vorrei tanto che lunedì, a conclusione della #museumweek, i cartelli che ammoniscono di non fotografare sparissero per sempre. O no, ancora meglio: come se fossero pezzi da museo li vorrei vedere in vetrina, magari corredati di una bella didascalia.

Museo Nazionale di Vattelapesca
1994-2014 d.C. ca.
Raro esemplare di strumento di costrizione mentale
diffuso nei musei e nei luoghi della cultura in Italia
fra la fine del XX e i primi anni del XXI secolo.

Stampa su carta dietro plexiglass, cm. 26x19
inv. 4324

Seconda puntata. Le altre puntate sono qui:
3 - vietato toccare!
4 - vietato pensare!




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