martedì 11 novembre 2014

Quo vadis?

La settimana scorsa tutta l'archeologia italiana si è 'bloccata' sul tormentone Colosseo. Mentre le opposte factiones si scontravano nella battaglia arena sì/arena no, sugli spalti (digitali) il pubblico assisteva allo spettacolo, con la sola differenza che oggi è possibile solo essere d'accordo, considerato che il pollice verso non esiste più. Almeno nei social network ...
Confesso di aver seguito molto distrattamente la vicenda che, come è stato detto in un bel post che la riassume perfettamente, in un paese normale non avrebbe suscitato tanto scalpore.
Forse anche perché a renderla eccezionale tanto da farla finire in prima pagina è solo che non riguarda un sito archeologico qualunque, ma il Colosseo, uno dei monumenti più importanti del pianeta, la Monna Lisa dell'archeologia.
Il momento più imbarazzante di questo dibattito è stato senz'altro quando qualcuno ha proposto di usare il Futuro Colosseo per giocarci a calcio. Le reazioni sono state fra l'inorridito e l'incredulo, fino a quando qualcuno dei soliti ben informati ha fatto notare che un campo di calcio nel Colosseo semplicemente non ci entra. Fine della storia.
Certo, inorridisce pensare il Colosseo invaso da schiere di tifosi urlanti, anche se nel contempo non riesco ad immaginarmi lo svolgimento di un munus come qualcosa di molto diverso da una finale di coppa. E quindi un dubbio resta: non è forse poi un'idea tanto bizzarra che una volta (ri)costruito quello che per tutti i non archeologi è uno stadio, qualcuno ci voglia giocare. E se oggi non si usa più far sbranare esseri umani dai leoni, non rimane altro che giocare a pallone.

Sarebbe molto più interessante se la discussione un giorno ci portasse a riflettere su come restituire ai cittadini non solo il Colosseo, ma l'archeologia tutta, quella dei siti e quella dei musei: se infatti "una riflessione sul rapporto tra archeologia e gestione dei centri urbani che dura da almeno trent'anni" (cit.) si paralizza sul ripristino di un battuto pavimentale è l'archeologia tutta ad aver perso. Perso il contatto con il suo pubblico, persa la sua funzione sociale, persa la sua utilità culturale. Con buona pace di quella archeologia pubblica che un paio di anni fa sembrava aver preso rapidamente piede anche da noi per poi dissolversi altrettanto rapidamente nel nulla. 

Da parte mia quindi, niente pollice, né rectoverso. Solo fastidio, per il semplice fatto che, ricostruendo l'arena, non restituiremo niente a nessuno: daremo solo qualcosa in più a chi paga il biglietto di ingresso (questo è un elemento da non trascurare: il Colosseo è una risorsa economica di prim'ordine!). Certo, giocarci una partita di calcio era un'esagerazione, una pretesa assurda e senza senso: altrettanto assurdo e senza senso però mi sembra voler realizzare una piazza con la certezza che resterà inutilizzata; nessuno infatti potrà mai passeggiarci né tantomeno alcun bambino potrà mai pacificamente giocarci a pallone.

PS: mentre l'archeologia ancora discetta stancamente di arena sì/arena no, a Roma si continuano ad arruolare volontari per gestire i musei. Se vi piacciono i film horror, seguite il link ... ma questa è un'altra storia.

1 commento:

  1. Buccellati, anni fa, è stato illuminante su questo argomento: "può esserci un rischio nell'eccessivo filologismo che privilegia il frammento a scapito del tutto organico: la monumentalizzazione della rovina. Ciò che si tende a fare in questo caso nasce da una tale preoccupazione per la conservazione del frammento che tutta I'attenzione viene accentrata su cio che di per sé non è mai esistito come entità culturalmente voluta."

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